29 aprile 2020

Relazione Bankitalia: Decreto Liquidità ampiamente da rivedere

Dopo l’audizione parlamentare del Direttore ABI, ieri, è stata la volta del Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, Balassone. La sostanza delle conclusioni cui giunge, non muta: il Decreto Liquidità è inconsistente e inefficace, oltre a rappresentare un pericolo per la liquidità delle aziende e, di conseguenza, per le entrate erariali.

Autore: Paolo Soro
All’indomani della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del DL 08/04/2020, n. 23 (alias, Decreto Liquidità), sono piovute sul governo una serie di critiche da parte degli addetti ai lavori. Primi fra tutti, i commercialisti avevano subito rappresentato come la norma non potesse affatto perseguire lo scopo per la quale era stata pensata: dare sollievo alle boccheggianti casse delle imprese e mettere le fondamenta per una futura ripartenza dell’economia, una volta usciti dal tunnel del Coronavirus.

Sono, allora, scesi in campo gli indignati paladini filogovernativi, che hanno stigmatizzato le anzidette critiche, tacciando i commercialisti di non si sa bene quale interesse politico, seppure il servizio di pubblica utilità svolto da tale categoria professionale – come ampiamente dimostrato nei fatti – sia sempre stato solo quello di fornire assistenza e consulenza tecnica, al fine di rappresentare le esigenze del tessuto imprenditoriale del Paese, prescindendo da qualsivoglia “giacchetta di partito”.

Oggi, alla riprova dei fatti, riscontriamo come l’arzigogolato sistema di garanzie messo in atto dal legislatore emergenziale non sia riuscito nemmeno nel suo primo basilare intento promesso dal nostro premier: azzerare la burocrazia e i tempi di erogazione dei vari finanziamenti. Il motivo? Una normativa ricolma di punti oscuri e fra loro contraddittori che, pertanto, ciascuno è legittimato a interpretare in maniera difforme.
Solo pochi giorni fa, l’ABI aveva evidenziato queste circostanze, confermando il giudizio critico inizialmente espresso dai commercialisti. Ieri, è stata la volta della Banca d’Italia, ossia l’organismo statale deputato ad assicurare la stabilità economica e finanziaria del Paese; ente, che dunque persegue solo gli interessi nazionali.

Il tecnico di Bankitalia ha illustrato alle Commissioni Finanza e Attività Produttive, i più che probabili contraccolpi negativi che deriveranno dalle disposizioni inserite nel decreto, evidenziando nel contempo la sostanziale inconsistenza nell’immediato degli aiuti finanziari varati. Eppure, trattandosi di misure straordinarie da adottarsi oggi, il principale obiettivo avrebbe dovuto essere proprio quello di contrastare subito i devastanti effetti della pandemia da COVID-19, per far ripartire pian piano la crescita economica.

Viene, innanzitutto, rilevato come l’efficacia del sistema di garanzie predisposto richieda che le norme siano rese rapidamente operative, le strutture che lo gestiscono abbiano le risorse (finanziarie e tecniche) necessarie, le garanzie vengano effettivamente concesse alle imprese che ne hanno bisogno per superare l’emergenza e il processo sia al riparo dai rischi di infiltrazione da parte di attività illegali.

Riguardo agli impegni finanziari a carico del bilancio dello Stato, Bankitalia precisa che l’impatto sull’indebitamento netto delle misure contenute nel decreto in esame è nullo nell’immediato. Da un lato, come detto, il provvedimento prevede che i versamenti fiscali sospesi vengano effettuati comunque entro l’anno. Dall’altro, le garanzie complessivamente rilasciate sono considerate non standardizzate e pertanto da contabilizzare, sia nell’indebitamento netto sia nel debito pubblico, solo in caso di effettiva escussione, e comunque soltanto eventualmente suddivise nei prossimi sei anni.

Oltre il brevissimo termine – prosegue Bankitalia – i conti pubblici relativi a quest’anno potrebbero risentire dell’eventuale illiquidità dei contribuenti al momento di compensare quanto non versato in precedenza. Inoltre, per privilegiare la rapidità di erogazione dei finanziamenti, il governo dovrebbe valutare il trasferimento diretto di fondi alle imprese, volti a coprire, le perdite e le spese operative, oltre a individuare concreti incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione.

È necessario, però, che la norma vieti espressamente qualunque valutazione del merito creditizio in capo agli istituti finanziatori (attualmente, detta valutazione non è prevista, ma nemmeno vietata). Le procedure dovrebbero essere assolte con la sola verifica formale della sussistenza dei requisiti previsti dal decreto, disapplicando temporaneamente le norme penali rilevanti; cosa che al momento frena l’operatività delle banche e – appunto – allunga enormemente i tempi di erogazione. In caso contrario, risulta inutile aver sospeso le procedure di valutazione del merito di credito dei debitori da parte del Medio Credito Centrale.

In tale ottica, la scelta adottata dal legislatore non appare condivisibile, incidendo negativamente sulla capacità di utilizzare le garanzie in modo efficiente: in alcuni casi, infatti, il credito potrebbe affluire a imprese comunque destinate a non superare la crisi. Il sistema bancario è in effetti preoccupato che le imprese non rientrino dalle esposizioni. Questa annotazione riguarda soprattutto i prestiti fino a 25 mila euro, garantiti al 100%.

Ricordiamo che il decreto prevede che gli intermediari possano concedere i finanziamenti senza attendere la risposta del Fondo Centrale di Garanzia PMI, una volta verificati i soli requisiti formali richiesti per l'ammissione alla garanzia. Se, però, poi le aziende risulteranno insolventi, le banche vedranno notevolmente ampliarsi i crediti deteriorati (già attualmente presenti in portafoglio in misura eccessiva), oltre a rischiare di essere coinvolte pure in profili penalmente rilevanti, inevitabilmente conseguenti agli eventuali reati fallimentari in cui potrebbero facilmente incorrere i soggetti finanziati.

In quest’ottica, viene salutata con favore la proroga dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, purché, nel frattempo, venga recepita la Direttiva UE che prevede particolari strumenti di ristrutturazione finanziaria alternativi al fallimento. La previsione di una moratoria delle procedure fallimentari (come quella attuata in Germania o in Francia) diventa infatti necessaria per evitare una possibile “corsa al fallimento” di imprese in temporanea difficoltà.

Circa l’ipotesi di un nuovo prelievo patrimoniale, Bankitalia si dice fermamente contraria:
“C'è molto risparmio degli Italiani sui conti correnti, ma questo è la base della liquidità delle banche che consente loro di effettuare interventi. Se lo togliamo riduciamo la capacità delle banche di intervenire”.

Le prospettive nel medio periodo, poi, sono alquanto pessimistiche: una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile; analogamente, non tutti i debiti coperti dalla garanzia pubblica saranno ripagati al termine dell’emergenza sanitaria. Ciò comporterà l’incapacità di intraprendere gli investimenti necessari al fine di accelerare una ripresa economica.

Lasciateci concludere con un dubbio legittimo che, a questo punto, ci attanaglia: le disposizioni di carattere fiscale sono state varate senza consultare i commercialisti; quelle di carattere finanziario, senza consultare i tecnici della Banca d’Italia; ma, allora, chi sono (e quanto ci costano) questi famigerati 450 “esperti” che compongono la task-force messa in piedi dal governo per far fronte agli effetti negativi originati dall’emergenza Coronavirus?
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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