1 novembre 2015

Consulenza Fiscale: si rischia il carcere fino a 9 anni

Autore: Marco Brugnolo
L’art. 12 del D.Lgs 24/09/2015, n. 158, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 ottobre e, di conseguenza, in vigore dal 22 ottobre scorso, ha inserito nell’ambito del titolo III del D.Lgs n. 74/2000 (contenente le disposizioni comuni ai delitti tributari contemplati dal medesimo decreto legislativo) l’art. 13-bis rubricato “circostanze del reato”.
Mentre i primi due commi del nuovo art. 13-bis costituiscono una mera rivisitazione del precedente normativo rappresentato dall’art. 13, concernente la circostanza attenuante costituita dal pagamento integrale del debito tributario connesso al reato, circostanza che costituisce, altresì, condizione necessaria per l’accesso all’istituto del patteggiamento penale, il terzo comma rappresenta una vera e propria novità nel panorama penal-tributario, introducendo un’aggravante ad effetto speciale prevista per i professionisti nell’ambito della consulenza fiscale.
La nuova aggravante speciale per i professionisti. Ai sensi del terzo comma del citato art. 13-bis “le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”.
Dal testo normativo sembrerebbe trattarsi di una circostanza aggravante speciale “propria” (quindi applicabile al solo professionista e non estensibile al cliente), collegata ad una condotta specifica ed ulteriore rispetto al semplice concorso in un delitto tributario, essendo espressamente richiesta dalla norma l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale da parte del professionista (ovvero dell’intermediario finanziario o bancario).
Attesa le genericità della locuzione utilizzata dal legislatore ”…nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista…”, si ritiene vada ricompreso nella nuova aggravante qualunque libero professionista che svolga attività di consulenza fiscale, a prescindere all’iscrizione o meno in albi, associazioni o registri.
Quanto, peraltro, all’esatta configurazione dell’attività di consulenza fiscale, sarebbe opportuno un chiarimento legislativo, poiché trattasi di attività che può essere effettuata anche al di fuori dell’ambito prettamente tributario, potendo essere sviluppata anche nel contesto della consulenza commerciale, finanziaria, o contrattualistica.

Le critiche del Consiglio Nazionale dell’Ordine. Il documento del Consiglio Nazionale, firmato lo scorso 27 luglio, contenente osservazioni e proposte in ordine allo schema di decreto legislativo allora in circolazione, si soffermava su tale circostanza aggravante, proponendo due interessanti osservazioni.
Sotto un profilo terminologico, l’Ordine criticava l’utilizzo che allora si faceva nella bozza della locuzione “modelli seriali”, evidenziandone il carattere generico ed indeterminato, che mal si concilia con gli istituti propri del diritto penale.
Sotto altro aspetto, il Consiglio denunciava un eccesso di delega da parte del Governo, in riferimento al fatto che la revisione del sistema sanzionatorio delegata dalla Legge n. 23/2014 non doveva prevedere pene superiori a 6 anni di reclusione; ora, per effetto dell’aggravante speciale in argomento, al professionista potrebbe essere comminata la pena della reclusione fino 9 anni (al ricorrere di taluna delle ipotesi delittuose più gravi contemplate dal D.Lgs n. 74/2000), ovviamente in presenza di tutti gli elementi contemplati dalla norma.
Elementi costitutivi: il concorso. L’aggravante introdotta dalla norma presuppone che il professionista commetta il reato non in qualità di contribuente (ad esempio presentando in proprio una dichiarazione infedele o fraudolenta), ma in qualità di correo con il proprio cliente.
In tema di concorso, la norma cardine è l’art. 110 c.p., ai sensi del quale “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita…”
Ora, essendo i reati tributari per lo più strutturati come reati “propri”, il professionista può concorrere in tali fattispecie in qualità di extraneus, secondo le ordinarie regole del concorso, che si presenta di norma nelle forme del concorso materiale o morale.

Attesa la modalità richiesta per il ricorso dell’aggravante in commento (elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione fiscale), si ritiene che il contributo causale del professionista debba avvenire nella fase dell’ideazione della condotta criminosa, ovvero assumere la forma del concorso morale, espresso in taluna delle due modalità elaborate dalla dottrina:
-istigazione, che ricorre quando il professionista si limita a rafforzare od eccitare il proposito criminoso già presente nelle intenzioni del cliente;
determinazione, che interviene allorquando è lo stesso professionista a far sorgere nel cliente un proposito criminoso prima inesistente.
Elementi costitutivi: l’elaborazione di modelli di evasione fiscale. Dal tenore letterale della nuova disposizione, pur nella sua genericità ed indeterminatezza, si rileva che non tutti i casi di concorso del professionista rientreranno nel campo di applicazione dell’aggravante speciale.
Se, ad esempio, il professionista compila e trasmette la dichiarazione annuale del proprio cliente portando in deduzione fatture palesemente false, lo stesso potrà essere chiamato a rispondere del delitto di dichiarazione fraudolenta, in concorso semplice (materiale o morale a seconda della tipologia di contributo offerto al fatto criminoso) con il cliente medesimo.
Affinché, di contro, operi l’aggravante speciale di cui al nuovo art. 13-bis, comma 3 è necessario che il professionista offra un contributo qualificato alla realizzazione della fattispecie criminosa da parte del proprio cliente (rectius, dei propri clienti), individuato dalla norma stessa nell’elaborazione di un «modello di evasione fiscale»: in tal caso si parlerà di concorso aggravato.
Quanto all’oggetto materiale del delitto aggravato (l’utilizzo di “modelli di evasione fiscale”), la genericità dell’espressione adottata dal legislatore, che mal si concilia, ex sé, con i principi fondamentali penalistici della tassatività e determinatezza, comporterà non pochi problemi in sede applicativa: se interpretata in maniera estensiva, infatti, la nuova norma rischia di far rientrare nell’ambito penale anche attività di consulenza che, almeno in astratto, sarebbero pienamente lecite, solo per il fatto che il cliente utilizza la medesima consulenza per porre in essere comportamenti finalizzati all’evasione fiscale.

La genericità insita nella formulazione adottata dal legislatore delegato comporterà, verosimilmente, la necessità di attendere le future elaborazioni della giurisprudenza di merito e di legittimità, chiamate a pronunciarsi su casi concreti.
La ratio della norma, La ratio legis va verosimilmente individuata nella necessità di colpire più severamente il modus operandi di alcuni studi professionali dediti alla promozione di sistemi strutturati di frode fiscale a beneficio dei propri clienti acquisiti o potenziali, sistemi che prevedono, ad esempio:
- l’utilizzo combinato di società filtro e di missing traders nell’ambito delle cc.dd. “frodi carosello”, finalizzate all’evasione dell’Iva;
- la creazione di strutture giuridiche particolari (quali trust, società anonime, etc.) da offrire ai propri clienti al solo scopo di generare indebiti vantaggi fiscali a loro beneficio, attraverso operazioni simulate o fittizie;
- la predisposizione di pacchetti di pianificazione fiscale internazionale particolarmente aggressiva, da proporre a clienti di una certa dimensione, allo scopo di drenare i profitti societari verso Paesi a fiscalità privilegiata, ovvero Stati non collaborativi, ancora attraverso operazioni fittizie, canalizzando opportunamente i relativi flussi finanziari con operazioni do riciclaggio.
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