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Abbracciamoci

Autore: Ester Annetta
Se c’è una cosa che, su tutte, ci ha portato via la pandemia è il calore dell’abbraccio, quell’antico e potente rituale capace più di mille parole di trasmettere sentimenti.

Amicizia, amore, gioia, consolazione… Il linguaggio dell’abbraccio è ricchissimo, potente ed universale; è il gesto che più d’ogni altro rivela la nostra umanità e la nostra capacità d’empatia, il segno concreto dell’unione e della vicinanza.

Il nostro corpo ha un linguaggio fatto, tra l’altro, di distanze e vicinanze fisiche attraverso cui si restituisce il senso di una prossimità anche affettiva.

La prossemica, la scienza che studia lo spazio o le distanze come fatto comunicativo, rivela proprio quali significati siano attribuibili, sul piano psicologico, alle distanze materiali che l'uomo tende a interporre tra sé e gli altri, indicando quattro "zone" interpersonali: una distanza “intima”, 0-45 cm; una distanza “personale”, 45–120 cm, che è quella dell’interazione amicale; una distanza “sociale”,1,2-3,5 metri, che riguarda la comunicazione tra conoscenti o il rapporto insegnante-allievo; una distanza “pubblica”, superiore ai 3,5 metri, per le pubbliche relazioni.

Non a caso “prendere le distanze” è l’espressione che, in senso figurato, indica il dissociarsi, l’allontanarsi, in non condividere il punto di vista altrui.

La pandemia ci ha imposto di soppiantare le distanze intime e personali - che sono le più connaturate a noi esseri umani affettivi - con le distanze sociali e pubbliche, privandoci inizialmente solo dei gesti ma modificando, poi, anche, lentamente ed in maniera subdola, il loro valore significante.

Perciò abbracciarsi è finito per diventare un gesto pericoloso, un potenziale veicolo trasmissivo d’infezione e, perciò, bandito, in favore di squallidi e innaturali urti di gomiti.

Ci mancano gli abbracci! Ci avvilisce il dover reprimere quell’istinto naturale di gettare le braccia al collo dell’amico che rivediamo di tanto in tanto o di un genitore anziano che costringiamo alla cattività delle sue mura domestiche per timore che l’agguato del virus lo colga non appena si affacci fuori.

Ma se, da un lato, abbracciare allarga il rischio del contagio, dall’altro, non abbracciare nasconde una diversa insidia: l’anestesia dei sentimenti.

Amare, gioire, provare affetto sono emozioni che si esprimono anche attraverso i gesti, che a loro volta si caricano di significato proprio perché sottendono quello specifico sentimento.

Il timore è, allora, che, senza il supporto dei gesti, il sentimento stesso tenda ad inaridirsi, giungendo infine a spegnere anche quella forza interiore, quel moto dell’anima, che lo motiva.

Ecco, dunque, che diventa importante aggrapparsi ad altri strumenti, ad altre modalità che consentano di mantenere vivo e inalterato il “sentire”, che si traducano in segni attraverso i quali il significato che non può più esprimersi con il cerchio dell’abbraccio rimanga comunque inalterato.

Ha indotto questa lunga riflessione un episodio che, qualche giorno fa, è rimbalzato su giornali e social, dimostrando che, contro i legami e i sentimenti - quando siano radicati e profondi (anzi, esemplari) - restrizioni e confini nulla possono.

“Posso suonarle giusto due-tre canzoni per renderla felice?”

Con questa domanda semplice e disarmante, Stefano Bozzini, alpino, classe 1939, ha ottenuto di poter far sentire la sua vicinanza e il suo amore alla moglie - ricoverata per Covid nell’ospedale di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza - pur non potendo farle visita.

Il personale sanitario gli ha concesso di entrare nel cortile interno dell’ospedale e così Stefano, con indosso il suo cappello da alpino, ha preso una sedia, si è accomodato di fronte alla finestra della stanza dov’era ricoverata la sua Carla e, per circa un’ora, le ha dedicato una dolcissima serenata con la sua fisarmonica.

A 81 anni Stefano non ha solo compiuto un gesto romantico e significativo, ma ha anche dato una lezione di vita a noi tutti che, forse, a parità di situazione, ci saremmo limitati a fare una videochiamata.

Non ha potuto stringere a sé la sua Carla, Stefano, ma quel gesto che, a distanza di anni, testimonia ancora la profondità e la solidità di un sentimento autentico, ha avuto la stessa intensità, lo stesso calore e lo stesso valore.

Abbracciarsi è ancora possibile.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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