Con lo scoppio della pandemia, vuoi per necessità lavorative vuoi per irrinunciabile bisogno d’avere almeno a portata di sguardo - se non di mano - amici, compagni e parenti, si è assistito ad un proliferare di piattaforme per videochiamate di gruppo, tutte diverse all’apparenza ma sostanzialmente tutte uguali nelle caratteristiche e nelle modalità di funzionamento.
Le usano gli insegnanti per la DAD, l’ormai nota Didattica a Distanza, che incontra equamente consensi e dissensi; le usano imprenditori e manager per le loro conference-call, anglicismo raffinato che vorrebbe denotare la superiorità di certe videochiamate rispetto ad altre; la usano gli amici di sempre, per autentico bisogno di vicinanza, ed anche i parenti che, se solitamente detestano ritrovarsi in ricorrenze e feste comandate, miracolosamente sentono adesso il bisogno di doversi necessariamente ricompattare.
Migliaia di utenti hanno così finito per concedere l’accesso alle loro abitudini casalinghe, ai loro pigiami, ai loro visi senza trucco, all’arredo delle loro case, ai colori delle loro pareti. Spiragli d’intimità, di vita altrui, sono stati reciprocamente schiusi attraverso le finestrelle di smartphone, tablet, pc; lunghe ore di silenzio e di vuoto sono state riempite da pixel, da immagini a volte nitide a volte freezate, da voci metalliche ora fluide ora sincopate, da presenze non presenti, da surrogati d’amicizia, d’amore, d’affetto.
Hanno continuato ad essere usati, anche quando sono iniziate a circolare notizie di pericolose falle di sistema, in grado di catturare e diffondere informazioni private degli utilizzatori.
Zoom - divenuta rapidamente la più diffusa tra le piattaforme di videochiamate - ha finito presto per manifestare numerose criticità. Del resto, per ammissione dei suoi stessi ideatori, non era nata per gestire grandi numeri né per avere un pubblico così vasto: la sua nascita, datata 2011, doveva infatti servire unicamente un'utenza aziendale.
Ed ecco allora che è caduta facile preda di pirati ed invasori, capaci di incursioni ed azioni di disturbo che possono spaziare dall’invio di innocui “meme” alla presa di possesso dello schermo da parte di immagini violente, pornografiche o di varie oscenità.
Non solo: pare che addirittura, nei primi tempi di utilizzo diffuso, un bug consentisse agli hacker di sottrarre facilmente i dati personali presenti sui computer equipaggiati con Windows 10 (problema tempestivamente risolto, sembra) e che la versione per iPhone della piattaforma riuscisse addirittura a condividere i dati degli utenti con Facebook, a scopo pubblicitario, senza chiederne i consenso e senza specificare la tipologia di informazioni catturate.
Ma, probabilmente, si è preferito correre il rischio ed accettare di incorrere in tali minacce se, tuttora, la zoom-mania dilaga e sembri destinata a sopravvivere anche oltre il lockdown.
Ora, senza alcuna intenzione di voler qui promuovere alcuna crociata pro o contra, una considerazione viene però spontanea da fare: perché un’utenza vastissima, che accetta senza remore continue ingerenze nella propria vita privata, che svende con leggerezza la propria privacy, dando in pasto a strumenti di condivisione e a social frammenti della propria quotidianità, dei propri gusti e delle proprie abitudini e che cede incoscientemente proprie informazioni cliccando senza porsi troppe domande i bottoni “accetta” che appaiono sui siti tra cui naviga, ha poi tanto timore d’essere intercettata, monitorata, spiata o geolocalizzata da un’App che si prefigge solo il tracciamento del contagio del virus che ci assedia e funzionare a fin di bene?
È un quesito su cui varrebbe davvero la pena che si interrogassero tanto i fruitori di insicure piattaforme di videochiamata quanto – e soprattutto - i più narcisisti e vanitosi utilizzatori di social, quelli che non si fanno alcuno scrupolo nel postare bicipiti o biancheria intima in visione potenzialmente planetaria, ma tanti se ne fanno, invece, nel dichiarare un’informazione che, viceversa, potrebbe davvero interessare anche chi non siede tra le fila del proprio pubblico virtuale e finalizzarsi ad una reale utilità.