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Il caso Bergamini

Autore: Ester Annetta
Circa una decina d’anni fa, un mio amico attore mi illustrò un progetto teatrale al quale avrebbe voluto che collaborassi: si trattava d’un lavoro di quelli rientranti nel genere definito “teatro d’inchiesta”; aveva preso a cuore una vicenda accaduta più o meno vent’anni prima, un caso irrisolto, e avrebbe perciò voluto portarla in scena, confezionando un copione che si ispirasse a quegli accadimenti.

Fu così che mi imbattei nella storia di Donato “Denis” Bergamini, la cui strana morte ed i lati oscuri che il caso aveva presentato sin da subito, solo qualche giorno fa, a distanza di trentadue anni, pare abbiano infine trovato contorni precisi.

Iniziai dunque a documentarmi; lessi le cronache d’allora e, in particolare, un libro dal titolo emblematico - “Il calciatore suicidato” - scritto da Carlo Petrini che, attraverso una dettagliata ricostruzione degli avvenimenti, avallava la conclusione cui tutti, a partire dai familiari del giovane, erano giunti ben molto tempo prima degli inquirenti.

Stesi così la prima bozza di quel copione che, tuttavia, era destinato a rimanere incompiuto, quasi avesse mutuato lo stesso destino della storia cui era ispirato.

La scena iniziale l’avevo immaginata vuota; un palco in penombra, un sottofondo di pioggia e motori di veicoli di passaggio; poi un lungo, frastornante suono d’un clacson ed il silenzio, interrotto subito dopo dalla voce monotona e metallica d’uno speaker radiofonico, che dava lettura di un’Ansa allora realmente battuta:
"Bergamini si è suicidato stasera a Roseto Capo Spulico, un centro dell'alto Jonio cosentino, facendosi volutamente investire - secondo una prima ricostruzione dei fatti fornita dai carabinieri - da un autotreno in transito lungo la Statale 106 Jonica. Secondo quanto si è appreso, insieme con Bergamini si sarebbe trovata una giovane, Isabella, di 20 anni, una studentessa di Rende, legata da tempo sentimentalmente al giocatore. I due, a quanto pare, si trovavano sull'auto di Bergamini, una Maserati, ferma su un lato della strada. Il giocatore sarebbe sceso precipitosamente dall'automobile e si sarebbe fatto travolgere volutamente, sempre secondo gli inquirenti, da un autotreno, restando ucciso sul colpo. Secondo quanto ha riferito un sanitario del Pronto Soccorso dell'ospedale di Trebisacce, la morte di Bergamini è sopravvenuta per sfondamento toracico e per un gravissimo trauma addominale”.

La storia del calciatore parte dal 1985. Donato Bergamini, classe 1962, giovane e promettente centrocampista, venne quell’anno acquistato dal Cosenza, che all’epoca militava in Serie C1. Vi sarebbe restato per cinque stagioni, fino al 1989, l’ultima.

All’epoca dell’ingaggio, allenatore della squadra era Franco Liguori che però due anni dopo venne esonerato e sostituito da Gianni Di Marzio con cui nel 1988, dopo ventiquattro anni, il Cosenza riuscì a tornare in Serie B.

Ben presto, però, a seguito dell’esame della COVISOC (la Commissione di Vigilanza delle Società di Calcio, organo di controllo della FGCI) emerse che il Cosenza non aveva le condizioni finanziarie per essere ammessa al campionato di quella Serie. Tuttavia, in pochi giorni, arrivò la conferma da parte del Presidente del CdA della Società, l’Avv. Giuseppe Carratelli, che il Cosenza aveva risolto le difficoltà finanziarie a seguito di una delibera di aumento di capitale da 460 milioni a 3 miliardi.

Il campionato dunque ripartì; ma il Cosenza cominciò a collezionare da subito una serie di risultati negativi. Il Presidente Carratelli si dimise e al suo posto il CdA nominò Antonio Serra.

La storia di quegli anni del Cosenza, in particolare le improvvise risorse che consentirono alla squadra di mantenere il suo posto nel campionato cadetto, fu accompagnata da voci e sospetti; si diceva che il nuovo Presidente fosse affiliato alla Massoneria, ma il problema non era questo, quanto la circostanza che il suo arrivo fosse coinciso con un deciso miglioramento dei risultati della squadra, che rendeva sempre più insistenti le voci di risultati combinati e di partite vendute. Difatti, qualche anno dopo, alcuni pentiti della ‘ndrangheta cosentina (tra cui il boss Franco Pino) avrebbero confermato quei sospetti e sarebbero spuntati fuori anche collegamenti con il racket delle scommesse clandestine e del traffico di droga gestito dalla criminalità organizzata.

In questa cornice si cala la storia di Bergamini, ma se e quale ruolo il calciatore avesse avuto nelle vicende della squadra è rimasto per più di trent’anni argomento di sole ipotesi.

La più insistente pare essere quella secondo cui sarebbe caduto – suo malgrado - nel giro del traffico di droga.

Agli inizi del 1989, Denis aveva acquistato una Maserati bianca; a vendergliela era stato un pregiudicato locale, Francesco Sprovieri, che gli aveva anche presentato Isabella Internò, la ragazza che sarebbe diventata la sua fidanzata.

Solo dopo la morte del calciatore – secondo quanto risulta nella ricostruzione fatta da Petrini nel suo libro – sarebbe stato scoperto che quell’auto aveva due doppi fondi.

Denis, con la sua fidanzata al seguito, usava spesso la Maserati per le trasferte anziché viaggiare in pullman insieme alla sua squadra. Il motivo, secondo le ipotesi all’epoca vagliate dagli inquirenti, era che l’auto servisse per trafficare droga e che la presenza di Isabella servisse a controllare le spedizioni.

Probabilmente Denis, ad un certo punto, avrebbe scoperto d’essere stato usato e avrebbe perciò deciso di tirarsi fuori e di lasciare Isabella. Per l’una o l’altra cosa – o per entrambe - avrebbe perciò pagato.

Quella sera del 18 novembre 1989, sulla statale 106 Jonica Denis ci sarebbe perciò arrivato già morto.

Le dichiarazioni rese subito dopo “l’incidente” dall’autista del camion investitore e dalla stessa Isabella, che sostenevano che il giovane si fosse deliberatamente lanciato sotto il veicolo per suicidarsi, erano apparse da subito incongruenti; troppe cose non quadravano; soprattutto c’era l’entusiasmo del calciatore - che da qualche giorno aveva appreso la notizia di un suo possibile passaggio in una squadra di Serie A - a stridere con l’assurda risoluzione a togliersi la vita.

Ma nell’immediato nessuna autopsia sul cadavere fu disposta per accertare quali fossero state le cause del decesso.

I dubbi, però, avevano già cominciato a tormentare Domizio Bergamini, il papà di Denis, ed erano divenuti più consistenti quando gli erano state fatte pervenire le scarpe che il figlio indossava quella sera - intonse, senza alcuna macchia di fango, nonostante avesse piovuto ed il terreno della piazzola dove l’auto del giovane era ferma, lungo la statale, fosse fangoso - e alcuni altri suoi effetti personali, tra cui l’orologio, perfettamente funzionante, a dispetto del fatto che il suo corpo, secondo l’investitore, fosse stato schiacciato e trascinato per circa sessanta metri.

Cinquanta giorni dopo, perciò, la salma venne riesumata e l’esame rivelò che sul corpo di Denis non c’erano segni compatibili con l’impatto e con il trascinamento e che più probabilmente il corpo era già al suolo nel momento del contatto col veicolo, che, dunque, l’aveva solo schiacciato.

Cominciò ad apparire chiaro, a quel punto, che la tesi del suicidio non fosse corretta.
Tuttavia l’esito del processo frattanto instauratosi non fu quello sperato.

Il 19 settembre 1990 la Procura di Castrovillari rinviò a giudizio l’autista del camion, Raffaele Pisano, per omicidio colposo; il 4 luglio 1991, però, il pretore di Trebisacce, pronunciò la sua assoluzione per non aver commesso il fatto, confermata l’anno successivo dalla Corte d'Appello di Catanzaro.

Dodici anni dopo, il 29 giugno 2011, il caso venne riaperto dalla Procura di Castrovillari. Sia i Ris di Messina che un gruppo speciale dei carabinieri, il cosiddetto “gruppo zeta” che lavorava al caso, depositarono una nuova perizia che stravolgeva la tesi del suicidio. Isabella Internò venne raggiunta da un avviso di garanzia per omicidio volontario, ma nel 2014 il processo venne archiviato.

Domizio Bergamini però - e con lui sua figlia Donata, sorella di Denis - non si arrese. Voleva giustizia per suo figlio, sicuro, ormai, che fosse stato ucciso.

Chiese dunque nuovamente la riapertura del fascicolo e, nel 2017, l’allora procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, riaprì il caso e dispose la riesumazione del corpo del calciatore.

Il nuovo esame autoptico diede un risultato sorprendente: Denis era stato soffocato, probabilmente con un sacchetto di plastica, ed il suo corpo era stato poi adagiato sull’asfalto per la messa in scena del suicidio.

Domizio non avrebbe però fatto in tempo a vedere come sarebbe andato a finire questa volta il processo, perché due anni dopo morì.

L’ultimo capitolo di questa triste e assurda storia è stato scritto qualche giorno fa.

La Procura della Repubblica di Castrovillari ha difatti notificato l’avviso di conclusione indagini ad Isabella Internò, che oggi ha 51 anni. Le conclusioni cui sono giunti gli inquirenti sono che la donna avrebbe, assieme a persone allo stato ignote, prima narcotizzato e successivamente asfissiato il giovane. La causa della morte sarebbe stata infatti un “soffocamento lento”; successivamente il corpo sarebbe stato abbandonato sulla strada allo scopo d’essere investito dai mezzi in transito.

A Isabella vengono anche contestati aggravanti come la premeditazione e motivi abietti e futili, quali la volontà del calciatore di voler porre fine al loro rapporto sentimentale.

Non è altro che la conferma di ciò che già all’epoca dei fatti era parso chiaro ai più ma che ha dovuto attendere trentadue anni per essere dichiarato. Non resta ora che aspettare di leggere la fine di quest’ultimo capitolo.

Quando Denis morì, il numero 8 della maglia rossoblù venne ritirato dal Cosenza in segno di rispetto: non sarebbe stato dato a nessun altro fino a quando non si fosse fatta piena luce su cosa successe al centrocampista.

Chissà, forse è finalmente giunto il tempo che quel numero riviva.
E forse anche quel copione, abbandonato da tempo, può ora veder scritta la sua fine ed avere una scena su cui essere interpretato.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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