sabato, 26 aprile 2025

1 agosto 2020

Il danno da nascita indesiderata

Autore: Ester Annetta
Scuotono le coscienze alcune pronunce giurisprudenziali che - al di là delle valutazioni sull’equità delle soluzioni risarcitorie che propongono – pongono seri problemi di coscienza e di morale al cui cospetto l’adeguatezza del ruolo genitoriale andrebbe rivista.

Il “danno da nascita indesiderata” è stato spesse volte considerato dalla giurisprudenza con riferimento a quella particolare forma di errore medico consistente in una diagnosi prenatale sbagliata nella quale non viene identificata una malformazione del feto, impedendo così alla madre di decidere consapevolmente se interrompere o meno la gravidanza entro i termini previsti dalla legge. In questi casi i Tribunali hanno sempre riconosciuto ai genitori la possibilità di richiedere il risarcimento del danno nei confronti del medico responsabile dell’errore.

Parimenti è stata allo stesso modo valutata come errore medico risarcibile l’ipotesi in cui, a fronte di una richiesta di interruzione di gravidanza a termini di legge, l'intervento sia stato effettuato in maniera erronea e, dunque, non solo non abbia determinato l'interruzione, ma il bambino abbia anche riportato lesioni insanabili. La risarcibilità attiene, in tale ipotesi, sia al danno non patrimoniale - consistente nel danno cd. psichico subito dai genitori, derivante dal dovere affrontare una situazione nuova, non preventivata, di malformazione o patologia del figlio - sia a quello patrimoniale, derivante dalle spese ulteriori da sostenere per la gestione delle condizioni del figlio malformato.

Lasciando da parte altri aspetti della fattispecie che attengono, in particolare, alla dibattuta questione dell’ammissibilità o meno ed in quale misura di un risarcimento anche a favore del figlio nato malformato, quello che qui vuole trattarsi è, invece, un’altra linea interpretativa del danno da nascita indesiderata.

Nello specifico vuole aversi riguardo al caso in cui sia ritenuto che la nascita di un figlio vada a ledere il diritto di autodeterminazione dei genitori che quel figlio non lo volevano. Anche in tal caso sussisterebbe una responsabilità medica che legittimerebbe non solo la richiesta di risarcimento del danno ma, addirittura, un diritto al mantenimento del figlio “nato comunque”.

La giurisprudenza si è già espressa in merito: una pronuncia del Tribunale di Milano del 2014 (sez. I civ., sentenza 31 marzo 2014) aveva già disposto che “Incorre in responsabilità contrattuale, il medico che somministri alla propria assistita – la quale non intende avere figli - un farmaco errato inidoneo ad avere efficacia anticoncezionale se, per effetto di tale errore, sia insorta una gravidanza indesiderata. In tali casi, l’inadempimento del medico comporta la lesione del diritto della assistita di decidere, con il proprio compagno, liberamente, sulla base di valutazioni assolutamente personali ed insindacabili, se diventare o meno genitore. L’inadempimento determina il diritto al risarcimento del danno anche in capo al compagno della parte lesa che, in conseguenza della condotta del medico, diventa genitore senza essersi autodeterminato in tal senso. Quanto al danno non patrimoniale, la nascita di un figlio comporta delle spese, le spese che è necessario affrontare per il suo mantenimento e la sua educazione, fino a raggiungimento della sua indipendenza economica; ne consegue che costituisce danno risarcibile l’ammontare delle spese che i due genitori devono accollarsi per il mantenimento del figlio fino alla sua indipendenza economica.”

Sulla questione è ora tornato il Tribunale di Brescia: il caso è quello di una coppia di genitori con già tre figli; per evitare che ne arrivassero altri, la donna si era sottoposta ad un intervento di sterilizzazione tubarica, rimanendo tuttavia lo stesso incinta di una quarta figlia, nata sana ma non voluta. La coppia si è perciò rivolta al Tribunale per chiedere i danni all'Ospedale, vedendosi così riconosciuta la lesione del diritto di autodeterminazione relativamente alla scelta di non volere più figli. Il Giudice ha, difatti, ritenuto violati gli artt. 2 e 13 della Costituzione, che prevedono il diritto alla procreazione consapevole e, avendo inoltre il CTU ha accertato che l'esecuzione tecnica dell'intervento di sterilizzazione era stata del tutto inadeguata (nonostante l’Ospedale si fosse difeso sostenendo che anche per quel tipo di intervento esiste un margine di fallibilità), ha condannato l'Ospedale a pagare ai genitori l'importo mensile di 300 euro, per un totale di 90.000 euro, per aiutarli a mantenere la figlia fino al compimento dei suoi 25 anni, oltre ad un risarcimento di 1.513 euro alla madre per la diastasi dei muscoli della parete addominale.

Anche il Tribunale di Reggio Emilia nel 2015 aveva condannato l'Ospedale a pagare in favore di una madre la somma di 20.000 euro per lo stress derivante dal dover accudire sei figli e 300 euro al mese per il figlio non voluto, fino ai suoi 23 anni. La donna, dopo il quinto figlio, aveva anch’essa chiesto un intervento di sterilizzazione che l'Ospedale però non aveva effettuato, sostenendo in giudizio, a sua difesa, che la madre avrebbe potuto interrompere la gravidanza. In quel caso i giudici si sono invece pronunciati rilevando che abortire è ben diverso dal decidere di non procreare.

Parimenti la Cassazione in diverse occasioni ha confermato la condanna al mantenimento del figlio non voluto: la recente sentenza 4738/2019 ha condannato un medico di base che aveva prescritto ad una donna un farmaco non idoneo alla contraccezione, riconoscendole il risarcimento del danno per lesione del diritto all'autodeterminazione e quantificandolo in 116.237 euro, oltre interessi legali per consentire il mantenimento il figlio non voluto.

Tornando a questo punto alla premessa, la questione di coscienza che si pone e su cui varrebbe la pena interrogarsi è quella relativa alla prevalenza di un interesse economico su quello che dovrebbe essere l’interesse naturale di qualunque genitore a garantire la serenità e l’equilibrio psicologico dei propri figli. Come può pensarsi che non abbia traumi e conseguenze psicologiche un figlio che cresca con la consapevolezza di non essere stato voluto? Dove va a finire quel cerchio di sicurezza e protezione di cui ogni bambino ha bisogno per crescere sano e forte? Un figlio dovrebbe pur sempre considerarsi un dono, al di là dell’impegno di tempo, di fatica e di denaro che possa comportare la sua crescita. Fargli invece pesare le difficoltà economiche derivanti dal suo arrivo inatteso mina già alle basi la possibilità che maturi un’adeguata autostima e consapevolezza del proprio valore.

Bisogna essere genitori coscienti e consapevoli per non fare questioni di misure e saper anteporre il benessere dei propri figli ad ogni disequilibrio di natura prettamente materiale.
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