8 maggio 2021
smart working - professionista - lavoro

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Il rientro

(Racconto di fantasia. Ma forse nemmeno troppo)

Autore: Ester Annetta
Lunedì 3 maggio. Tragico, come tutti i lunedì.

L’accompagna la nota sindrome che si manifesta perlopiù con ondate improvvise d’angoscia al pensiero che si debba affrontare l’intera settimana. Di lavoro.

Per Carlo è il lunedì più tragico di sempre. È la prima volta, dopo più di un anno, che ritorna in ufficio “in presenza”, dopo una lunghissima parentesi di smart working.

Carlo è un impiegato statale.

Un anno fa, nemmeno lo sapeva cosa significasse smart working e quando gli venne comunicato che grazie all’adozione di quella formula avrebbe potuto rimanere a casa e lavorare “da remoto” era stato assalito, dapprima, dalla preoccupazione di non essere tecnologicamente all’altezza di poter eseguire i suoi compiti affidandosi totalmente ad un pc; poi, dall’acuirsi d’una sensazione di prigionia da cui era stato già duramente provato dacché la madre di tutti i DPCM aveva imposto l’obbligo di restare in casa.

Ma era stata – quest’ultima – una condizione momentanea. Ben presto Carlo aveva cominciato ad apprezzare i vantaggi di quella nuova modalità di lavoro, superando ben presto anche il primo timore circa l’incapacità di poterlo gestire in maniera totalmente telematica: “che mi importa”, si era detto, “se qualcosa non riesco a farla, la lascio perdere”.

Quell’inatteso cambiamento si era dunque ben presto trasformato nella comodità maggiore che gli fosse mai capitata.

Niente più sveglia presto la mattina, niente cravatta, niente traffico e mezzi pubblici affollati, niente cartellino da timbrare e orari da rispettare.

La sua vita aveva cominciato ad adagiarsi sulla spianata della mollezza più estrema: chi si sarebbe mai accorto se avesse o meno fatto la doccia o se si fosse raso? Cosa mai gli sarebbe più importato di vestirsi dal momento che sarebbe potuto rimanere in pigiama o al massimo in tuta per tutto il giorno? Chi avrebbe mai visto che invece di starsene seduto ad una scrivania davanti al pc avrebbe potuto portarselo a letto e lavorare spalmato su otto cuscini?

Sua moglie avrebbe portato il cane fuori ogni mattina consentendogli così di dormire un po’ più a lungo, che, tanto, mica avrebbe dovuto attenersi ad un preciso orario di lavoro!

Al ritorno gli avrebbe anche portato il cornetto caldo, e magari lui si sarebbe contrariato perché ancora una volta avrebbe sbagliato gusto scegliendo quello alla crema anziché alla nutella. Però, alla fine, l’avrebbe mangiato comunque.

Le riunioni, poi, tutte su Zoom, col capestro dei 40 minuti massimo di durata, o, in alternativa su Meet e in quel caso sarebbe stato uno dei partecipanti a sollecitare la fine dell’assemblea millantando un'altra call improcrastinabile, quando invece ad attenderlo sarebbe stata magari solo una sfida a Fifa 21 col suo collega di stanza, a sua volta confinato tra le mura domestiche.

Che sogno! Chi l’avrebbe mai detto! “Figo però sto’ smart working!”

Come tutti i bei sogni, però, anche quello di Carlo era destinato a finire.

Il 30 aprile 2021 sulla Gazzetta Ufficiale viene pubblicato un nuovo decreto: il numero 56 diventerà da quel momento in poi il più nefasto per Carlo, quello da non giocare mai al Superenalotto.

Il provvedimento – che aveva sperato potesse essere rivisto all’ultimo momento – contiene una previsione ferale: fino alla definizione della disciplina del lavoro agile nei contratti collettivi del pubblico impiego, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, le amministrazioni pubbliche potranno continuare a ricorrere alle modalità semplificate relative al lavoro agile, ma sono liberate da ogni rigidità e, dunque, non sono più tenute al rispetto della percentuale minima del 50 per cento del personale. Tutto ciò nell’intento di far sì che “l'erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente.”

In altre parole, è tempo di tornare a lavoro! Davvero.

Ecco, allora, che Carlo, in quel bigio lunedì d’inizio maggio, si vede costretto a scuotere l’impolverato protocollo delle sue tante mattine d’un anno prima.

Il suono della sveglia sembra provenire dai suoi sogni ma è talmente insistente che alla fine capisce che è reale. La colazione è appena un caffè amaro bevuto di fretta, poi ci sono la barba, la doccia e il rituale della scelta della camicia, più complicato che mai dal momento che tutte sembrano essere stranamente divenute più strette.

Le 7.15. “Cavolo, se perdo ancora un minuto è la fine: la tangenziale diventerà un tappeto di auto che procedono a passo d’uomo. Non timbrerò mai in tempo!”

Esce di casa imprecando, chiudendo la porta sul ringhio del cane che, vedendolo parato a quel modo e a quell’ora probabilmente non l’ha riconosciuto.

Scende giù per le scale saltando i gradini a due a due per risparmiare una manciata di minuti nell’attesa dell’ascensore e intanto impreca contro Brunetta e, giacché c’è, pure contro la Dadone.

La macchina ovviamente non parte: l’ultima volta che l’ha presa risale a Pasqua, quand’è andato a pranzo da mamma.

E allora non resta che correre verso la fermata dell’autobus che, già lo sa, sarà in ritardo e pieno come prima del lockdown, alla faccia del distanziamento.

Non ci sono sedili liberi, ovviamente, e perciò resta appeso ad una di quelle maniglie pensili che, più che a reggersi, servono ad aiutare l’equilibrio messo a dura prova dal modello di guida accelera-frena adottato dal conducente.
Quella mezz’ora o poco più che serviranno per arrivare a destinazione offre tuttavia una tregua al tumultuoso ritmo di quell’indigesto rientro che suona ora come un condono di pena non richiesto ad una comoda prigionia.

Chiude gli occhi e rivede come ormai fosse già un ricordo lontano il suo comodo divano, le pantofole, le serie su Netflix, Masterchef (che quasi glielo aveva fatto credere di poter ambire a diventare uno chef stellato, la volta che si era cimentato nelle bruschette con olio e sale), la sua postazione di lavoro casalinga contornata da fumetti, biscotti e lattine, il solitario sullo schermo del pc… gli pare persino di sentire il lezzo dei suoi tanti giorni senza doccia - l’odore tipico dell’ozio – e l’aroma del soffritto di cipolla ad annunciare il pranzo ormai vicino.

Una pesante lacrima gli scende sul viso, s’insinua sotto la mascherina, precipitando infine sulla punta della sua Church’s in pelle di vitello che solo allora si accorge stargli stretta, come pure i pantaloni e la giacca, accessori ed indumenti cui i suoi arti smollati e senza tono non sono più abituati.

E allora, con voce appena percepibile, come se parlasse alla sua coscienza col rimpianto d’un piacere mai apprezzato, mormora sconsolato:

“Anche alla crema era buono lo stesso il cornetto!”.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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