martedì, 29 aprile 2025

11 aprile 2020

La fase 2

Autore: Ester Annetta
Per settimane abbiamo atteso l’arrivo del tanto annunciato “picco” del contagio, quello che avrebbe dovuto rappresentare in momento di massima paura, fatica e sofferenza ma, al tempo stesso, il punto d’inizio di una discesa lungo la quale poter lentamente riappropriarci delle nostre abitudini e della nostra vita precedente.
Il picco è arrivato silenzioso. Ci siamo scivolati dentro quasi senza accorgercene, perché non è giunto con un’impennata, ma gradualmente, diluito, come se il virus avesse all’ultimo voluto sorprenderci con un inatteso atto di pietà, una tregua ed un ristoro ad un affanno che ha lasciato col fiato corto anche chi è stato risparmiato dall’infezione.

Dopo un primo, lungo, momento in cui abbiamo guardato quasi con gratitudine a quello stop che ci concedeva una imprevista vacanza - durante cui abbiamo escogitato modalità varie ed ingegnose per rendere più tollerabile il distanziamento sociale: cantando sui balconi, accendendo lucette, alzando il volume della radio per ricongiungere la nostra musica a quella proveniente da altri palazzi, pregando in silenzio davanti alle immagini di un uomo solo al centro di una piazza divenuta l’abbraccio ad una umanità sofferente - le distanze, la solitudine, l’inattività hanno cominciato a pesarci.

Ci è mancato il saluto della primavera, che abbiamo accolto solo attraverso il cinguettio delle rondini nel silenzio dell’alba; ci è mancato il leggero stordimento provocato dal cambio dell’ora solare; ci sono mancate le Palme ed i riti della settimana santa; ci è mancata la prima gita fuori porta invocata da una domenica di sole.
Per altro verso, abbiamo scoperto nuove attitudini, imparato a fare il pane e la pasta in casa, insegnato ai nostri figli nativi digitali a giocare a briscola, riscoperto l’odore dei libri lasciati a lungo ad impolverarsi su librerie divenute solo decorative, persino incominciato a scrivere racconti, lettere e poesie. E ci siamo commossi per la nostalgia, nel vedere le immagini delle nostre città desolate trasportate su brevi e struggenti video, accorgendoci per la prima volta della loro bellezza, così dirompente e abbagliante nel vuoto e nella solitudine che le ha depurate.

Ora siamo stanchi, estenuati da un disimpegno troppo duraturo, abbrutiti nei nostri pigiami e nelle nostre tute, sazi di tv, di internet di telefonate e di tutto quello che se prima riempiva solo i nostri pochi ritagli di tempo ora, invece, il nostro tempo lo occupa tutto.

Intanto la curva del contagio del virus ha iniziato a scendere, e insieme ad un annunciato nuovo pacchetto di misure, siamo ormai prossimi alla svolta verso il sentiero della “Fase 2”, altrimenti detta della “convivenza col virus”.
Potrebbe sembrare una conquista, un premio per la nostra diligenza nell’aver osservato i precetti imposti da una rigorosa clausura. Invece spaventa, come spaventa ogni qualunque forma di convivenza – di coppia, tra colleghi di lavoro, tra coinquilini - quando si è necessitati a scendere a compromessi, a smussare spigoli, a trovare punti di incontro per evitare un risultato fallimentare.
Ne saremo capaci?
La morsa in cui siamo stati contenuti finora è stata talmente stretta che il rischio di concederci troppo, di prenderci quella famosa “mano con tutto il braccio” è più che realistico.
Lo si è visto, del resto, nei giorni scorsi, quando, appena avvertito un leggero sollievo per la diminuzione dei contagi, improvvisamente sono diventate più frequenti e numerose le uscite per fare la spesa e le passeggiate attorno all’isolato.
Ma la fame di socialità, di spazi, di libertà è proprio adesso che potrebbe indurci a commettere l’errore più grave: quello di sentirci ormai fuori pericolo, quando invece è proprio ora che si palesa il rischio maggiore, quell’abbassare la guardia che inevitabilmente ci espone al colpo basso ed inatteso dell’avversario.

Non ne siamo fuori. Non ne siamo nemmeno ancora abbastanza distanti.
Un nuovo decreto a breve deciderà una qualche minima riapertura delle attività produttive, includerà – se non tra i necessari almeno tra gli utili – altri settori, ridarà respiro ad aziende che hanno rischiato l’asfissia come fossero state anch’esse contagiate dalla malattia.

Ma non vorrà dire che il virus sarà sconfitto. Vorrà dire, appunto, che dovremo imparare ad averlo accanto, come un vicino di casa molesto, ricordandoci che non è stato neutralizzato e può continuare ad infastidirci.

Non potremo ancora uscire con disinvoltura, riprendere a frequentare bar, cinema, teatri e ristoranti e dovremo continuare a sorriderci solo con gli occhi, senza poter ancora appendere al chiodo le nostre mascherine.

Tutto dovrà essere rigorosamente organizzato, regolato, contingentato: gli uffici, gli studi professionali, l’accesso ai mezzi di trasporto pubblico, l’uso degli spazi verdi. Forse sarà possibile andare da un comune all’altro, ma ciò non equivarrà a concederci una gita, una scampagnata, un breve viaggio.

Saremo come quei malati cui viene consentito di alzarsi in piedi dopo un intervento: muovendo qualche passo attorno al perimetro del letto, con una mano che lo tocca, pronta ad aggrapparsi al primo cenno di cedimento dei muscoli e delle giunture.
Dovremo continuare ad assumere la nostra dose quotidiana di tolleranza, di pazienza e di rassegnazione; dovremo continuare ad essere disciplinati e rispettosi e non dovremo considerarci fortunati perché l’abbiamo scampata, perché il tempo di “respirare a pieni polmoni” non è ancora arrivato.

Non abbandoniamoci allora a facili entusiasmi: la Fase 2 non è una nuova partita, ma un’altra mano di quella che abbiamo già giocato. E il risultato può ancora cambiare.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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11/04/2020
Diego COLUCCI

se l'italia non passasse per il popolo dei furbetti, fatta la legge trovato l'inganno, io sono a casa da un mese e non ho il coronavirus. se esco e incontro te, che non hai il coronavirus, che pericolo c'è?
dovremo convivere con il coronavirus come con l'HIV … purtroppo basta un disonesto per fare danni