La preside della Tallahassee Classical School, in Florida, colpevole di aver tenuto una lezione di arte rinascimentale in cui aveva mostrato le immagini del David di Michelangelo (ma anche la Creazione di Adamo affrescata nella Cappella Sistina e la Venere del Botticelli), è stata costretta a ‘scegliere’ di dimettersi dopo che il presidente del consiglio scolastico l’ha messa di fronte ad una pesante alternativa: andarsene di buon grado o essere licenziata.
Alcuni genitori dei bambini della classe in cui aveva tenuto la lezione avevano infatti protestato per non essere stati preventivamente informati del suo “contenuto controverso”; un papà si era persino detto profondamente offeso, ritenendo pornografico il famoso nudo michelangiolesco.
Succede nell’America dei contrasti e degli eccessi, dove lo scontro tra pensiero conservatore e riformista non lascia immuni nemmeno l’arte e la cultura. Ma, a ben vedere, si è andato ben oltre, giungendosi – come purtroppo sempre più spesso accade - a minare il valore dell’istruzione, per assecondare soverchiamente scelte e voci di genitori divenute ormai supreme.
Accettarle ed accoglierle incondizionatamente, significa infatti consentire un oltraggio performativo e formativo che uccide l’anima stessa della scuola. Insegnare – nel suo significato etimologico di “imprimere un segno” – vuol dire ampliare la mente e alimentare lo spirito, trasmettendo conoscenze e idee che hanno superato la prova del tempo. Se si permette a dei genitori di imporre i loro gusti personali - persino i loro vincoli morali –, si snatura questa funzione e, perdipiù, si vincola il percorso di crescita delle generazioni successive (peraltro perfettamente in grado da sé di distinguere tra arte e pornografia già in tenera età). Resta allora ben poco da offrire agli studenti se manca la saggezza collettiva sufficiente a riconoscere la differenza tra la sconcezza e la volta della Cappella Sistina o l’armonia delle forme d’una scultura che magnifica una figura biblica.
Lo stesso vale se gli insegnanti diventano addirittura ostaggio delle famiglie, laddove ne subiscono le minacce o addirittura la violenza.
Non serve andare oltre oceano per averne esempi. Succede a casa nostra, in questa bella terra di santi, poeti, navigatori, dove il ruolo degli insegnanti sta progressivamente perdendo di prestigio sociale ed autorevolezza.
Dopo la professoressa di Rovigo impallinata dagli alunni ed il professore di Latina minacciato dai parenti dell’allieva cui aveva chiesto di lasciare il telefono in ottemperanza ad una circolare scolastica, è toccato ad una professoressa di Castellammare di Stabia d’esser picchiata dalla madre di una studentessa perché scontenta dei voti che aveva dato a sua figlia. Il tutto nell’indifferenza generale di colleghi, personale ATA e dirigente scolastico da cui non solo non è giunto alcun soccorso nel mentre che l’aggressione aveva luogo, ma nemmeno alcuna solidarietà dopo. La malcapitata si è dovuta difatti recare da sola al pronto soccorso per farsi refertare e nessun provvedimento è stato ancora preso dalla scuola, che ha annunciato di voler attendere l’azione della docente prima di avviarne una propria.
A voler tirare le somme di fronte a tanta “inerzia”, inevitabilmente non può che riconoscersi anche un totale decadimento del ruolo educativo e didattico dell’istituzione scolastica, sopraffatto da forme di ingerenza esterne sempre più evidenti e violente, di fronte alle quali nemmeno più si tenta di approntare una difesa ma – nel timore di conseguenze ultronee - si leva la bandiera della resa.
La minaccia del ricorso, dell’esposto, del provvedimento disciplinare, da un lato, avviliscono l’efficacia dell’azione scolastica, rendendola succube d’una pretenziosità fuori misura e regole; dall’altro, legittimano l’invadenza e la prepotenza di famiglie che fortificano sempre più la propria convinzione di essere la clienti di un servizio e, come tale, d’aver sempre ragione.
E la mancanza di coesione all’interno della stessa scuola - dove sempre più spesso confliggono le posizioni dei diversi docenti, incapaci di compattezza e visione unitaria, e la dirigenza per prima pare più incline ad assecondare le pretese delle famiglie piuttosto che sostenere i propri insegnanti – non fa che rimandare l’immagine di un’istituzione malferma, vacillante, priva di solidità e di valori.
Il tutto a danno dei ragazzi, ovviamente, che certamente percepiscono questo stato di cose e finiscono per sfruttarlo a proprio vantaggio, diventando accusatori, giudici ma anche scaltri approfittatori.
Il risultato è un inesorabile declino di un modello educativo sano, la cui riabilitazione potrà avvenire solo a condizione di recuperare il rispetto e la considerazione del lavoro che, quotidianamente, un esercito di insegnanti vilipesi e malpagati continua a portare avanti con dedizione ed autentica vocazione. Malgrado tutto.