Mi piace definirla così, perché si colga immediata la finalità di questa nuova pratica che, in linea con quell’idea generale di “passaggio” evocata dalla più comune e ormai ricorrente espressione ‘transizione’, rientra anch’essa nel piano universale di recupero e tutela della salute del nostro pianeta.
Si tratta difatti di quelle forme di trattamento dell’eufemistico ‘trapasso a miglior vita’ che rappresentano alternative ecosostenibili alle tradizionali (ed inquinanti) modalità di sepoltura e cremazione.
Se ne conoscono attualmente tre tipologie: la prima, già legalizzata in sei stati americani, tra cui New York, consiste nel “compostaggio umano”, termine più domestico con cui suole definirsi la cosiddetta ‘riduzione organica naturale’. Il processo è il seguente: il corpo del defunto viene posto in un recipiente riutilizzabile insieme a materiale vegetale come trucioli di legno, erba medica e paglia. Il mix organico così composto crea l'habitat perfetto per consentire ai microbi ivi presenti di svolgere il proprio lavoro di decomposizione del corpo in modo naturale ed efficiente, in circa un mese. Dopo tale periodo vengono estratte le ossa e i componenti non organici. Le prime vengono tritate e reimmesse nel mix organico, dove, nel giro di qualche altra settimana, i microbi finiscono il loro lavoro. Il risultato finale è un concentrato organico simile a terriccio, denso di nutrienti - l'equivalente di circa 36 sacchi di terreno - che può essere utilizzato per piantare alberi o arricchire terreni, foreste o giardini (per le aree urbane come New York City, dove la terra è limitata, questo impiego è stato visto come un'alternativa di sepoltura piuttosto interessante, se non fosse per le implicazioni di natura morale che hanno incontrato l’opposizione della Conferenza cattolica dello Stato di New York, che rappresenta i vescovi dello Stato).
La seconda formula è la “sepoltura verde”. E’ in realtà, una pratica molto antica, la prima utilizzata da quando l’uomo ha imparato a sotterrare i suoi simili. Il corpo del defunto viene avvolto in un sudario di cotone e sepolto in una semplice cassa di pino, ‘diventando’ col tempo la pianta, l’albero o l’arbusto che crescerà sulla terra che lo ricopre. Una forma più evoluta di questa modalità di sepoltura è stata quella richiesta dall’attore Luke Perry, che volle essere ‘vestito’ con un abito biodegradabile ricoperto di spore fungine che – secondo il suo ideatore - avrebbe dovuto neutralizzare le tossine e restituire le sostanze nutrienti al terreno. Ma non è stato dimostrato che abbia davvero funzionato.
L’ultima è la cremazione in acqua, nota come “acquamazione” o idrolisi alcalina. Il cadavere viene prima inserito, in posizione distesa, in un apposito macchinario che procede alla misurazione del suo peso e, quindi, al calcolo della quantità di acqua e di idrossido di potassio necessari al compimento dell’idrolisi. Dopodiché il corpo viene immesso in un ‘sacco’ contenente la corrispondente soluzione così calcolata e portata a una temperatura di 152 gradi centigradi. Nel giro di un’ora, essa scioglie i tessuti e gli organi; le ossa vengono invece raccolte, asciugate, sbriciolate, polverizzate e infine consegnate in un’urna ai familiari del defunto. Nel 2022 l’arcivescovo Desmond Tutu (attivista sudafricano, divenuto famoso durante gli anni ottanta come oppositore dell'apartheid) scelse che le sue spoglie mortali venissero trattate con questa modalità.
Si tratta di una pratica di origini molto antiche, usata migliaia di anni fa dai nativi hawaiani, che impiegavano acqua vulcanica scaldata per decomporre i corpi dei loro cari e seppellivano poi le ossa che, secondo la loro cultura, racchiudono l’essenza spirituale dell’anima. Caduta in disuso nel corso del tempo è stata infine ripristinata e legalizzata nelle Hawaii nel 2022. Attualmente è consentita in 28 stati americani.
Rispetto alla cremazione ‘classica’ che, secondo uno studio compiuto nel 2016, produce in media 240 kg di anidride carbonica, l’acquamazione produce lo stesso risultato con un impatto ambientale molto minore. Tuttavia nemmeno questa pratica è esente da critiche che ne pongono in rilievo le implicazioni di carattere morale, la più diffusa delle quali è quella secondo cui sarebbe irrispettosa del defunto, che è come se fosse gettato in uno scarico!
Il tema, al di là delle macabre apparenze, si presenta senz’altro interessante grazie proprio a questo suo risvolto di sostenibilità che tanto necessita di questi tempi. Tuttavia, in una situazione di allarme ormai così diffusa e generalizzata, sarebbe senz’altro più utile e produttivo che interventi ed iniziative efficaci per contrastare il dissesto ecologico fossero messe in atto anche “dai vivi e per i vivi” con la stessa premura dimostrata “dai vivi per i morti”.