Quella tra il 9 e il 10 novembre 1938 è ricordata in Germania come la “Notte dei Cristalli”: circa 7500 negozi furono saccheggiati dopo averne mandato in frantumi le vetrine; 1400 sinagoghe vennero distrutte; 400 persone furono uccise mentre molte migliaia vennero malmenate e deportate nei campi di concentramento.
Fu la notte in cui ebbero inizio i progrom antisemiti; di fatto, l’inizio dell’olocausto.
Perciò le Nazioni Unite hanno proclamato il 9 novembre “giornata contro il fascismo e l’antisemitismo”.
In quello stesso giorno ricorre pure un altro anniversario: la caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989) - simbolo della ‘guerra fredda’ e della ‘cortina di ferro’ eretta al termine della Seconda guerra mondiale – che segna la fine del regime comunista dei Paesi dell’Est. Allo scopo di commemorarla, il Parlamento italiano ha istituito con la legge n. 61 del 15 aprile 2005 “il Giorno della Libertà”.
Si tratta, com’è di tutta evidenza, di due significativi episodi storici divenuti simbolo delle due contrapposte ideologie che rappresentano e che – quasi a monito della necessità che non sorgano nuove discriminazioni e non si ergano altri muri - per una incredibile coincidenza si sono ritrovate a condividere la memoria nella stessa data.
Stesso peso, stessa misura. O almeno così dovrebbe essere, a prescindere dalle bandiere che si sventolano.
E invece così non è, e non è di poca gravità che nell’errore della “doppia misura” vada ad incappare proprio il Ministro dell’Istruzione (e del Merito!).
In una lettera inviata lo scorso 9 novembre a tutti i “Dirigenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione”, il neo-nominato-ministro del neo-eletto-governo ha invitato alla riflessione soltanto sulla seconda ricorrenza, circostanza che - di per sé – avrebbe potuto rispondere alla logica della commemorazione nostrana, istituita dal nostro Parlamento, se non fosse che il suo richiamo è andato ben oltre, varcando i parametri dell’istituzionalità per diventare una vera e propria lezione di storia, dai toni e dai contenuti peraltro discutibili.
A dispetto della libertà di insegnamento, la pretesa lezione del Ministro è risultata una sorta di manifesto di propaganda infarcita di giudizi, anziché una oggettiva narrazione dei fatti con al più qualche spunto di confronto.
Nero su bianco, con tanto di timbro e protocollo, così vi si legge:
“Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l’immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri.”
E conclude: “Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile.”
Come si è da più parti osservato, anche con un minimo di obiettività il carattere tendenzioso di questo testo risulta evidente, come pure la visione di parte e la caratura indottrinante (senza premura di stemperamento) dei giudizi espressi.
Ben vengano i moniti sui totalitarismi, purché tutti – senza eccezioni - vengano considerati, giacché nessuno si salva.
Viceversa una critica rigida ed assoluta ad un solo regime non può che apparire parziale, semplicistica e selettiva tanto più se difetta di completezza e trascuri di ricordare anche accadimenti e personaggi che - della relativa ideologia, al netto dei suoi estremismi - sono stati e continuano ad essere modelli di riferimento. Come un Gramsci, per esempio.
Non può non sorprendere, allora, che proprio un Ministro della Repubblica, quasi su modello d’un Ministero d’altra epoca e d’altra impronta, esprima pensieri che possano essere percepiti come indirizzi da imprimere alla scuola pubblica, il cui ruolo viceversa non dovrebbe mai essere quello di attrarre i discenti verso taluna o talaltra ideologia, ma piuttosto quello di insegnare il pensiero libero ed il pensiero critico, fornendo visioni complessive e non parziali degli eventi storici ed illustrandoli con precisione, coerenza e scientificità.
La scuola non deve suggerire direzioni, ma indicare tutte le direzioni possibili; e non deve cedere né indurre a condizionamenti, nel rispetto della libertà di insegnamento e di autodeterminazione, col fine di sollecitare il dialogo ed il confronto oltre che l’autonomo convincimento.
E ciò vale anche per l’attualità, per i conflitti, le discriminazioni ed i muri presenti, che sono figli della storia, hanno in essa le loro radici, e pertanto – come è accaduto in ogni tempo – ripropongono quel nesso di causalità che determina la conseguenzialità tra un prima e un dopo e che non può ignorarsi, a rischio di falsare la conoscenza ed il senso degli eventi.
Attenzione, allora, a non strumentalizzare la storia, tantopiù in vista di una possibile (e sollecitata da tempo) revisione dei programmi scolastici, ancora fermi al secondo dopoguerra: aggiornarli non significa manipolarli.