Attesa dal 2008, la riforma del settore petrolifero in Nigeria è stata finalmente adottata dal Parlamento: un momento considerato “storico” per il primo produttore di oro nero in Africa, Paese che ha urgente bisogno di massimizzare le entrate. “Entrambe le camere hanno approvato la legge sul petrolio - ha confermato all’agenzia francese “AFP” il portavoce del Senato Ola Awoniyi - è un evento importantissimo, che arriva dopo anni di ritardo”.
La Nigeria, Paese da 210 milioni di persone, è il primo produttore di petrolio dell’Africa con 1,9 milioni di barili esportati ogni giorno, ma sul settore pesa una pessima reputazione fatta di corruzione, bassa produttività e infrastrutture fatiscenti in attività da oltre mezzo secolo che attirano pochi investimenti, malgrado le enormi riserve petrolifere.
Il disegno di legge, presentato per la prima volta all’Assemblea Nazionale nel 2008, è stato discusso e riscritto diverse volte a causa di disaccordi tra il governo e le principali compagnie petrolifere che operano nel paese, ma anche tra l’esecutivo e le precedenti assemblee. Il presidente Femi Gbajabiamila ha accolto con entusiasmo quella che ha definito “un’importante vittoria”: “È giusto sottolineare quanto sia importante questo giorno: lo aspettiamo da quasi 20 anni”.
La legge, che mira a fornire un quadro legale e fiscale per l’industria nigeriana di gas e petrolio, si concentra su tre aree principali: un sistema fiscale più controllato, una migliore redistribuzione della ricchezza e la trasformazione della “NNPC” (Nigeria National Petroleum Corporation), ritenuta il fondo nero dello stato, in una società commerciale.
Le due camere del parlamento devono ancora accordarsi su alcuni punti, in particolare sulla quota di ridistribuzione alle comunità che vivono nelle zone di estrazione. Il testo iniziale proponeva che le compagnie petrolifere versassero il 2,5% delle spese nella zona di sfruttamento in fondi di sviluppo a beneficio delle comunità, una cifra considerata troppo bassa che ha spinto le due camere a trovare un accordo su una percentuale compresa tra il 3 e il 5%.
L’adozione della riforma ha suscitato reazioni contrastanti: Bebe Okpabi, capo delle comunità produttrici di petrolio nell’Ogoniland, nello stato di Rivers, ha salutato l’annuncio come “un’ottima notizia per le comunità, finalmente riconosciute, apprezzate e compensate per le risorse petrolifere della loro terra”. Per Fegalo Nsuke, presidente del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (Mosop), il progetto di legge è al di sotto delle aspettative: “Ci aspettavamo il 25% per le comunità. Penso che sia possibile fare molto di più”.
La Nigeria, la più grande economia africana grazie alla produzione di petrolio, sta lottando duramente contro la crisi sanitaria, dopo essersi ripresa con difficoltà da una recessione che l’ha colpita nel biennio nel 2016-2017. Nell’aprile dello scorso anno i prezzi del greggio erano scesi sotto i 20 dollari a barile, e anche se da allora si sono ripresi toccando quota 60 il futuro rimane assai cupo per un paese che deve all’esportazione dal petrolio più della metà del suo reddito e il 90% delle entrate. A questo, va aggiunto che gran parte dei giacimenti nigeriani sono ormai vicini all’esaurimento, ma non compensati da sufficienti progetti in grado di rimpiazzarli.
La mancanza di entrate e quindi di valuta estera sta avendo un forte impatto sull’economia nigeriana, in particolare sull’inflazione, poiché il paese importa la maggior parte dei beni di consumo: in poco meno di un anno, l’inflazione ha superato il 18% e spinto circa 7 milioni di nigeriani verso l’indigenza.
Una serie di concause che spingono gli analisti internazionali a pensare che sarà difficile valutare gli effetti della legge in tempi brevi, dato che lascerà alle imprese la possibilità di decidere se regolamentare fino alla scadenza della concessione le loro attività secondo i vecchi o i nuovi regolamenti. Ma uno dei freni verso lo sviluppo del paese è anche legato alla sicurezza: i gruppi armati, che perforano gli oleodotti per rubare la produzione causando disastri ambientali, continuano a prosperare senza che nessuno riesca a fermarli. Chi guarda con un po’ ottimismo è convinto che sul medio e lungo termine, la legge metterà fine all’incertezza normativa che per anni ha scoraggiato gli investimenti, ma sa anche che per attirare investitori stranieri non basterà: serviranno tempo e iniezioni di fiducia.
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