Mentre prosegue acceso il dibattito sulla maternità surrogata e sulle sue implicazioni legali ed etiche, continuano a registrarsi nuovi progressi nel campo delle biotecnologie che di quelle questioni sono destinati a sollevarne altrettante.
L’ultimo risale a poche settimane fa, quando, durante il convegno annuale dell’International Society for Stem Cell Research a Boston, la scienziata Magdalena Zernicka-Goetz - biologa dello sviluppo polacco-britannica dell’Università di Cambridge - ha annunciato in anteprima la pubblicazione del lavoro intitolato ‘’Degli “embrioni sintetici” realizzati a partire da hESC’’.
Si tratta di uno studio che rende noti i risultati ottenuti attraverso la riprogrammazione di cellule staminali embrionali umane (hEsc), in grado di portato alla creazione di “embrioni umani sintetici” (Embryos) con un grado di sviluppo corrispondente pressappoco al quattordicesimo giorno dalla fertilizzazione, senza però ricorrere né all’utilizzo di ovuli e spermatozoi (come avviene nella fecondazione in vitro) né al trasferimento di nucleo di cellula somatica in ovocita enucleato (la c.d. clonazione).
Gli obiettivi di questo studio sono sostanzialmente tre: innanzitutto esso consentirebbe di conoscere meglio quali sono i meccanismi molecolari e cellulari che presiedono alla differenziazione ed allo sviluppo di linee cellulari e dei tessuti da cui si originano il corpo umano ed i suoi organi; in secondo luogo, proprio partendo dallo studio di queste prime fasi dello sviluppo embrionale umano si potrebbero ottenere fondamentali informazioni sulle patologie ereditarie e sulle anomalie congenite, così da consentire di approntare interventi di terapia genica cellulare precoce per correggere difetti genetici e/o epigenetici che porterebbero altrimenti alla nascita di bambini affetti da gravi malattie congenite; infine, adiuverebbe la scoperta delle cause dei frequenti mancati annidamenti dell’embrione nell’endometrio e degli aborti spontanei (anche quelli che si verificano dopo il trasferimento nell’utero degli embrioni fecondati in vitro).
Scopi nobili, innegabilmente, che tuttavia non valgono a superare la questione etica prima ancora che quella giuridica della mancanza di regolamentazione di tale attività di ricerca (infatti, mentre riguardo agli embrioni umani derivati dalla fecondazione in vitro esiste un quadro giuridico consolidato, non ci sono invece norme che disciplinano i modelli di embrioni umani derivati da cellule staminali).
I risvolti morali sono peraltro evidentemente già tenuti in conto dalla stessa comunità scientifica, se si considera che lo studio sull’embrione sintetico si ferma – come accennato - al raggiungimento del quattordicesimo giorno di suo sviluppo. Questo perché a quell’epoca non si sono ancora formati cuore e cervello, sebbene siano già presenti cellule che andranno a costituire la placenta, il sacco vitellino e l’embrione stesso. Per un tale motivo gli stessi scienziati preferiscono parlare, più che di “embrione”, di “ammassi cellulari", "modelli", "discoidi", "strutture".
Ma tanto è sufficiente a relegare l'etica in secondo piano? Basta a consentire che si creino ‘potenziali esseri umani’ per la ricerca, che si manipolino e che infine si scartino e si buttino via senza ulteriori considerazioni? Definire “sintetico” l’embrione non è forse un espediente per svicolare da un inevitabile giudizio di natura morale? L’attributo, infatti, non è da riferire al prodotto dell’esperimento: l’embrione (o il discoide, il modello o la struttura che dir si voglia) sono originali, non sono prodotti artificiali ottenuti da materiali chimici o di origine non biologica sintetizzati in laboratorio; sintetico è soltanto il procedimento attraverso cui si innesca la sua nascita, giacché non deriva – come visto – dall’incontro ovulo e spermatozoo ma da cellule staminali.
Senza dubbio la linea è sottile e la questione delicata, giacché comunque solleva interrogativi e preoccupazioni sulla manipolazione e la distorsione della vita umana: se è vero, infatti che gli embrioni sintetici non possono essere impiantati nell’utero di un paziente, è tuttavia concreto il rischio che la loro creazione e il loro uso possa disumanizzare la procreazione, aprendo alla possibilità di una loro produzione su larga scala per scopi non terapeutici.
Ritengo, tuttavia, che ci sia anche un altro aspetto, solo in apparenza diverso e più distante, che si debba considerare.
In questo nuovo traguardo che coniuga βίος (bìos, cioè vita) e τέχνη (téchne, cioè perizia, saper fare) potrebbe difatti intravedersi una ‘tentazione’ che si lega alla prevalenza del secondo elemento – la tecnologia, in senso più esteso - che governa ormai la condotta umana: è la tentazione di avere sotto controllo, interamente, la natura e l’essere umano, manipolandoli e plasmandoli secondo intenzioni e progetti sempre più ambiziosi, invasivi e arditi.
Lo vediamo quotidianamente con gli sviluppi galoppanti dell’Intelligenza Artificiale, con suo progressivo sovrapporsi al pregresso in più settori, in un inquietante meccanismo di superamento e sostituzione delle abilità umane che rischia di desertificare l’ambito delle relazioni lasciando sempre più soli ed isolati gli individui. Quelli tuttora ‘naturali e reali’, non sintetici né sintetizzati.
Letta così, è una prospettiva che mette i brividi.