Il Consiglio Nazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), attraverso il “Pronto Ordini” n. 31/2024, ha fornito un proprio parare a proposito della corretta interpretazione dell’art. 31, comma 3, del Codice deontologico.
L’Ordine scrivente ha formulato il seguente quesito: come vada interpretato il divieto indicato all’art. 31, comma 3, del Codice deontologico, il quale prevede che «Il collaboratore che sia iscritto all’albo deve astenersi dal tentativo di acquisire clienti attingendoli dalla clientela dello studio presso il quale ha svolto il rapporto di collaborazione », alla luce del differente divieto previsto dall’art. 15, comma 5, che vieta al professionista di intraprendere iniziative o comportamenti tendenti ad acquisire in modo scorretto un cliente assistito da altro collega.
Lo scorso 1° aprile è entrato in vigore il nuovo Codice deontologico della professione, il quale non ha modificato i contenuti relativi ai divieti di acquisire la clientela altrui se non nella numerazione.
Ciò posto, il Consiglio nazionale ha evidenziato come l’attività di interpretazione preventiva di norme del Codice deontologico potrebbe interferire con quella attribuita dalla legge (D.L. n. 138/2011, conv. L. n. 148/2011 e D.P.R. n. 137/2012) ai Consigli di Disciplina, che in materia godono di autonomia decisionale.
Pertanto, senza entrare nel merito della questione, il P.O. n. 31/2024 afferma che «dal mero confronto del dato letterale del divieto di cui all’art. 31, comma 3, e dell’art. 15, comma 5 (ora art. 14, comma 4, nuovo Codice deontologico), emerge che per il collaboratore di studio, a differenza del professionista, assume rilievo deontologico la mera condotta di acquisire o tentare di acquisire la clientela dello studio presso cui collabora, non essendo richiesto che l’acquisizione della clientela avvenga in modo “scorretto” o con modalità non conforme al decoro. Tale differenza sembrerebbe trovare la sua ratio nel diverso contesto in cui i due soggetti a cui si rivolge il divieto operano: infatti, il collaboratore di studio, potendo già contare su un contatto diretto con la clientela dello studio del professionista, godrebbe di una posizione di vantaggio, che potrebbe sfruttare per tentate di acquisirla, anche senza ricorrere a modalità scorrette o non conformi al decoro; a differenza invece di altro professionista avente un proprio studio professionale autonomo, a cui è vietato acquisire la clientela di altro collega con modalità scorrette o non conformi al decoro. Sempre dal dato letterale dell’art. 31, comma 3, sembra emergere che il divieto in parola, per poter avere rilievo disciplinare, richieda una condotta attiva del collaboratore dello studio che inviti o invogli la clientela dello studio professionale a farsi assistere dallo stesso. Di talché, ad esempio, non sembrerebbero poter assumere rilievo disciplinare le condotte dell’ex collaboratore che senza avere una condotta attiva riceva spontaneamente una richiesta di assistenza dalla clientela dello studio professionale ove prestava la propria opera. In ultimo, deve altresì osservarsi che, come indicato nell’art. 4 del nuovo Codice deontologico della professione, oggetto di valutazione è il comportamento complessivo del professionista e nella detta valutazione devono valutarsi la gravità del fatto, l’eventuale sussistenza del dolo e sua intensità ovvero il grado di colpa, l’eventuale danno procurato, nonché ogni circostanza, soggettiva e oggettiva, connessa alla violazione».