Era tanto ambiziosa quanto troppo dispendiosa da realizzare, la direttiva europea “EPBD” (Energy Performance of Builindings Directive), nata con il nobile obiettivo di riqualificare milioni di edifici residenziali europei migliorandone l’efficienza energetica attraverso due step: portarli entro il 2030 in classe E ed entro il 2033 in classe D. Settimane di incontri e dibattiti, con l’Italia fra i Paesi più contrari, avevano portato alla fumata nera, con la sardonica decisione che ogni Stato membro sarà libero di scegliere quali edifici considerare, il tipo di misure da adottare e le categorie da esentare. La bozza si limitava a fissare gli obiettivi intermedi di riduzione dei consumi: -16% entro il 2030 e -22% entro il 2035, con l’unico obbligo di concentrare le ristrutturazioni sugli edifici più vecchi ed alto consumo energetico. “Con l’operazione Superbonus 110% abbiamo messo 70 miliardi: è stato un intervento di efficientamento su 360-370mila edifici. Un calcolo anche prudente sul passaggio di due classi energetiche investirebbe dai 3 ai 4 milioni di edifici. Quanto servirebbe? Fra 700 e 1000 miliardi”, era stato il commento del Ministro della transizione ecologica Pichetto Fratin.
Ma sull’EPBD si sono riaccesi i riflettori in vista dell’ormai prossima discussione prevista a Bruxelles tra l’11 ed il 14 marzo prossimi.
Nel caso dell’Italia, in base all’art. 9 della direttiva, il nostro Paese ha come obiettivo ridurre del 16% il consumo medio di energia entro il 2030, e del 20,22% entro il 2035, per arrivare nel 2050 alle zero emissioni previste per l’intero stock abitativo.
Per farlo, è necessario mettere mano circa 1,8 milioni di edifici su cui è impellente intervenire sui 12 che rappresentano il parco residenziale nazionale, in assoluto uno dei più vecchi d’Europa. Si tratta per lo più di abitazioni realizzate prima del 1945, concentrate soprattutto nelle classi energetiche F e G. Sono previste esenzioni per gli immobili oggetto di vincolo, gli edifici religiosi, quelli temporanei, quelli destinati all’agricoltura e le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno.
“Secondo il nuovo testo, l’efficientamento energetico degli edifici non si baserà più sull’attuale classificazione contenuta nelle certificazioni energetiche ma su obiettivi medi di riduzione dei consumi, che andranno ad interessare quote differenti dello stock in relazione alle peculiarità immobiliari di ogni Paese - commenta Francesca Zirnstein, direttore di Scenari Immobiliari - applicando costi unitari di riqualificazione energetica, differenziati per tipologia immobiliare, per caratteristiche fisiche e per volontà di salto di classe stimiamo un investimento complessivo tra i 1.100 miliardi di euro (sulla base del concetto di armonizzazione) e 1.750 miliardi (patrimonio complessivo nell’attuale classificazione). La parte residenziale va da 550 a mille miliardi. Il tutto da realizzare in dieci anni. È molto ma non è un obiettivo impossibile se consideriamo i numeri di Ance per gli investimenti in manutenzione straordinaria, pari a 190 miliardi nel 2023”.
A livello di spesa, migliorare la classe energetica di un edificio significa innanzitutto partire dal rifacimento del cappotto termico, in pratica una tecnologia che isola l’edificio riducendo la dispersione di calore, ma seguito da passaggi altrettanto fondamentali come la coibentazione dei tetti, la sostituzione delle finestre, gli interventi sugli impianti di riscaldamento, la messa in sicurezza antisismica e le ristrutturazioni generiche. Lavori previsti dal Superbonus, beneficio che dal 2024 è sceso al 70% a patto di guadagnare due classi. Ma anche se è impossibile calcolare in modo preciso l’importo di ogni singola riqualificazione, secondo i calcoli stimati da “Scenari Immobiliari” per Il Sole 24Ore, la spesa potrebbe oscillare tra 20 e 55mila euro a famiglia.
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