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Durante il lockdown, quando le riunioni aziendali si sono spostate dai tavoli alle videoconferenze, le piattaforme come “Zoom” hanno vissuto una vera esplosione, salendo fino a contare 477 milioni di utenti in tutto il mondo. Un affollamento, come spesso accade, che ha attirato anche l’attenzione di hacker e disturbatori per diletto.
Un effetto, in particolare, infastidiva gli utenti della piattaforma software, che nel piano gratuito consente fino a 100 partecipanti simultanei con 40 minuti di tempo limite. L’hanno chiamato “zoombombing”, ed è diventato così virale da far scattare perfino le indagini dell’FBI, che nel marzo dello scorso hanno ha invitato chi fosse vittima di intrusioni a segnalare gli incidenti. In molti casi si tratta di gente che si inserisce nella videoconferenza iniziando a bestemmiare o a dire parolacce, in altre invece veniva caricato in chat materiale pornografico. Ma a preoccupare di più è stata la scoperta che l’azienda avrebbe condiviso i dati personali degli utenti con Facebook, Google e Linkedin, in piena violazione della privacy. Motivi sufficienti per far scattare una class action che sabato pomeriggio si è conclusa con un accordo legale preliminare in base al quale la “Zoom Video Communications” ha accettato di pagare 85milioni di dollari a titolo di indennizzo.
L’azienda ha anche accettato una serie di “modifiche importanti alle sue pratiche, progettate per migliorare la sicurezza delle riunioni, rafforzare le informative sulla privacy e salvaguardare i dati dei consumatori”. Modifiche che dovrebbero includere “notifiche durante le riunioni per rendere più facile per gli utenti capire chi può vedere, salvare e condividere le informazioni degli utenti di Zoom” e “avvisare gli utenti quando un ospite della riunione o un altro partecipante utilizza un’applicazione di terze parti durante una riunione”.
“La privacy e la sicurezza dei nostri utenti sono priorità assolute per Zoom, e prendiamo sul serio la fiducia che ripongono in noi - ha commentato un portavoce della società - siamo orgogliosi dei progressi fatti dalla nostra piattaforma, e ansiosi di innovare la protezione della privacy e la sicurezza”.
L’accordo è in attesa dell’approvazione del giudice distrettuale degli Stati Uniti di San Jose, in California: se fosse accolto, gli abbonati che partecipano alla class action saranno rimborsati del 15% del costo dell’abbonamento.