20 giugno 2011

Istruiti o raccomandati?

A cura di
Antonio Gigliotti

Impegnarsi per studiare o per trovare la “giusta conoscenza” che apra la porta ad una carriera facile? Questo dubbio attanaglia quasi tutti i giovani, soprattutto quelli che si impegnano negli studi e poi vedono che una buona formazione e i sacrifici fatti non servono poi a molto in una realtà che spesso non premia il merito.

Dico questo, cari amici e colleghi, perché qualche giorno fa, durante una cena, mi è stato chiesto se vale la pena ancora di svenarsi per far studiare a lungo i figli… Fino a che punto conviene foraggiarli con i risparmi familiari.

A tal proposito, voglio raccontarvi la storia del collega signor Rossi, famiglia unitissima di origine pugliese, disponibilità economiche non illimitate. Hanno due figlie gemelle di 27 anni, Giovanna e Paola, la prima laureata, la seconda no. Le due ragazze un po’ per scherzare si definiscono reciprocamente “sorella ricca” e “sorella povera”. Secondo voi qual è la ricca?

Strano a dirsi, ma è proprio quella che, anziché laurearsi e sfinirsi in master e contratti di formazione d’ogni tipo, si è lanciata nel mercato del lavoro a soli 23 anni. Certo, alle spalle ha una solida preparazione linguistica ma, comunque, non ha finito gli studi. Un breve stage in una nota azienda di moda, ed ecco l’agognata assunzione a tempo indeterminato, con successivo inquadramento dirigenziale. Fuoriclasse o colpo di fortuna?

Alla gemella, certo non meno brava, è toccata una sorte diversa. Lei si è laureata in Giurisprudenza a Milano, sempre con indirizzo internazionale, dopo una “onerosa” (per i genitori) formazione all’estero… E cosa fa? Volantinaggio alla Stazione Centrale per qualche negozio, anche se la sua speranza è uno stage di 6 mesi che con gran fatica ha ottenuto negli uffici in Italia della diplomazia di un altro Paese, stage assolutamente gratuito senza nemmeno il rimborso spese. La mamma Rosa non si scoraggia e dice:
Abbiamo investito tanto nella loro istruzione, continuiamo a crederci, speriamo ci vada bene!”.
Certamente l'istruzione è una cosa ammirevole, ma ogni tanto ci farebbe bene ricordare che non si può mai insegnare quel che veramente vale la pena di conoscere.

Una volta la frase “con tutti i sacrifici che ho fatto per te…” era indirizzata a eventuali figli/e scapestrati ma ora, di chi è la colpa?
Nonostante la “contrazione demografica” dei giovani messa in luce dal Censis, come ha scritto di recente sul Corriere Maurizio Ferrera: “dopo la scuola un terzo di giovani (soprattutto se laureati) resta senza lavoro”.

E’ quel soprattutto che a me (e a molte famiglie) toglie il sonno e si torna alla fatidica domanda dell’inizio (vale la pena o no?) cruciale per chi ha figli dai 18 anni in su.

Del resto, cari colleghi, diciamolo chiaramente, anche nell’ambito della nostra categoria, quanti giovani laureati esistono, alla ricerca disperata di qualche studio dove avviare la pratica e magari iniziare l’attività professionale? Non tutti, d’altronde, hanno la fortuna di avere uno studio professionale in famiglia. E forse anche noi, ma ancor più i nostri rappresentanti dovrebbero fare qualcosa soprattutto per questi giovani che iniziano l’attività professionale e non hanno nessun tipo di agevolazione rispetto al collega già in attività da diversi anni.

A questo punto si rende necessaria una riflessione: da cosa dipende tutto ciò?

Certamente dalla situazione particolare in cui viviamo, caratterizzata da una forte crisi internazionale, ma - diciamolo pure - ha contribuito altresì una scuola che forse non è più in grado di fornire le basi per un futuro, questi ragazzi una volta fuori non hanno quelle conoscenze necessarie , per affrontare adeguatamente il mondo del lavoro.

Ed allora potrebbe essere il caso di ricordare quanto diceva George Bernard ShawL'unico periodo in cui la mia educazione si è interrotta è stato quando andavo a scuola”, mentre Oscar Wild affermava: “Tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi ad insegnare”.

Ma al di là, di facili strumentalizzazioni, la vera domanda è: perché studiare quando poi i posti per cui ci si è formati sono spesso occupati dal figlio di Tizio o Caio? Perché “spesso” non è “sempre”, e le persone determinate oltre che brave, a quell’appiglio di speranza devono credere. Nonostante tutto sostengo che vale ancora la pena studiare, prima o poi, la tenacia e la volontà produrranno i meritati risultati e non può arrivare unicamente per coloro che hanno sempre cercato strade parallele e certamente meno difficili.

Certo è che vedere questa massa di giovani, laureati, che pur di non pesare sulle spalle dei genitori si prestano a qualsiasi tipo di lavoro, lascia fortemente preoccupati…..
A costoro mi rivolgo semplicemente dicendo……facendo mie le parole di Arthur Schopenhauer…..
La gloria la si deve acquistare, l'onore invece basta non perderlo”.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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