27 febbraio 2025

Il Gender Pay Gap dei commercialisti: le donne guadagnano la metà

Essere una professionista donna significa accettare la metà del volume d’affari e del reddito netto rispetto ai colleghi maschi. Tra le cause la scarsa possibilità a raggiungere ruoli apicali e la penalizzazione della maternità

Autore: Germano Longo
Per tutti è il “Gender Pay Gap”, un modo perfino gentile di definire una delle più becere ingiustizie sociali diffuse, e peggio ancora accettate, in tutto il mondo.

Secondo uno studio dell’ILO (International Labour Organization), realizzato su un campione di 70 Paesi - rappresentativo dell’80% della popolazione mondiale dei lavoratori - essere donna significa rassegnarsi a guadagnare circa 20% in meno. Quando va bene.

Una discriminazione a cui non sfugge neanche la categoria dei commercialisti, come confermato dal recente “Bilancio di genere” realizzato dal Compitato Pari Opportunità del Consiglio Nazionale della categoria. Al netto di titoli di studio, esperienza, incarichi e sacrifici, sia il fatturato che il reddito medio delle donne commercialiste continuano a non superare mai la metà esatta delle cifre messe insieme dai colleghi maschi.

Prendendo come esempio il 2023, ultimo anno di cui sono disponibili i dati completi attraverso le dichiarazioni 2024, il Gender Pay Gap si assesta al 46,9% per il volume d’affari, ma sale al 57,72% parlando del reddito netto. Per dirla in maniera ancora più chiara e senza sconti, nel primo caso significa 85.671 euro delle donne contro i 161.394 degli uomini, mentre nel secondo vuole dire 49.131 euro a fronte di 85.120.
A rimetterci di più, sempre secondo la ricerca, è la generazione X, che racchiude i nati fra il 1965 ed il 1980, con le donne costrette a fatturare il 46% in meno degli uomini della stessa età. Ma il divario peggiora addirittura salendo con gli anni, riducendosi gradualmente per i professionisti più anziani, quelli quasi sulla soglia della pensione.

“Un altro aspetto che balza agli occhi – specifica il CNPO – è che il gap si manifesta maggiormente dove il fatturato maschile cresce (nelle generazioni centrali). In un certo senso è come se la componente femminile non riuscisse a fatturare oltre una certa soglia, per cui quando la fatturazione della componente maschile cresce, quella femminile non riesce a seguirla, per questa ragione il differenziale aumenta nelle generazioni centrali, ossia negli anni in cui il fatturato di un professionista cresce significativamente”.

Come sempre, uno dei motivi di ogni ricerca che si rispetti, dopo aver snocciolato i numeri, diventa l’ambizione di capire i motivi che portano chi ha doppio cromosoma X a guadagnare meno di chi invece ha l’accoppiata XY.

Dall’analisi delle risposte di un questionario diffuso fra gli iscritti, CNPO e FNC sono arrivate alla conclusione che il motivo non è mai solo uno, ma diversi e tutti difficili da superare. Per cominciare, la tendenza molto maschilista di creare quello che definito il “soffitto di cristallo”, la celebre barriera che malgrado l’apparente trasparenza impedisce costantemente alle donne di raggiungere ruoli apicali anche all’interno degli studi, da sempre riserva di caccia maschile.

Questo anche per via della differente struttura della specializzazione professionale, che spesso relega le donne verso attività meno specialistiche. Ma per quale atavico motivo, non è dato saperlo.
E non è da meno un secondo motivo, altrettanto fondamentale: lo scotto da pagare per la maternità. La straordinaria esperienza di diventare mamme, imperdibile tappa per milioni di giovani donne, ha da sempre un risvolto negativo in termini di carriera, trasformando tutto il resto in un percorso zeppo di ostacoli e di rinunce, purtroppo ormai considerate inevitabili e accettate perfino dalle donne stesse.

Nel caso delle commercialiste, significa veder calare e a volte azzerare il fatturato e il reddito dal momento della nascita del figlio e per almeno un decennio, visto che sono sempre le donne a sobbarcarsi l’obbligo dell’equilibrio tra la famiglia e l’ambizione di portare avanti una professione che ha richiesto anni di studi e sacrifici. Stringendo fra le labbra l’amara consapevolezza che avere un figlio significa trasformarsi in un soggetto a rischio e poco affidabile dal punto di vista professionale, con effetti tangibili sulla possibilità di crescita e sugli incarichi.

Nel 2023, anno preso in esame, l’albo dei commercialisti era formato per il 33,9% da donne e per il 66,1% da uomini: questi ultimi svettavano in Campania (73% uomini e 27% donne), mentre alle donne spettava il primato dell’Emilia-Romagna (42% rispetto al 58% degli uomini). Ma è almeno confortante che il trend dell’ultimo decennio mostri un lento ma costante aumento della componente femminile, passata dal 31,1% del 2012 al 33,9% del 2023.

Da tutto questo vanno esclusi i ruoli di rappresentanza, visto che appositi regolamenti elettorali garantiscono almeno i 2/5 di presenza femminile, assicurando al Consiglio nazionale 8 donne (38%), percentuale simile a livello locale (39%). Ma il discorso cambia parlando di ruoli apicali: su 132 Ordini, solo 19 sono le donne Presidenti: aguidare la classifica è il Veneto, con 5 donne ai vertici. Tutto il resto è roba per maschi.
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