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Una vita da mediano: perché i tempi non tornano?

Autore: Paolo Iaccarino
Cosa ne sa il centroavanti o il fantasista di cosa significhi stare lì mezzo a recuperare palloni, a lavorare generosi, ininterrottamente, finché se ne ha? Cosa ne sa la squadra avversaria dei sacrifici del mediano, chino a lavorare nel suo mondo di fatica? Cosa ne sa il pubblico, perennemente interessato a chi fa gol, non certo a chi recupera palloni lontano dalla porta avversaria. In fondo cosa sanno, davvero, i nostri vertici di categoria, l’Agenzia delle Entrate e l’opinione pubblica di quanto sia diventato faticoso il nostro lavoro? Una fatica non semplicemente fisica, nella ricorsa infinita al fiume di adempimenti introdotti anno dopo anno, ma soprattutto psicologica, incalzati dal pensiero ricorrente di essere perennemente in ritardo rispetto ad una qualsiasi scadenza.

Basta guardarsi dentro per comprendere come l’azione perpetrata fino ad oggi in difesa di una categoria diventata troppo fragile di fronte al nemico si riveli insufficiente ed inadeguata. L’azione di protesta, limitata a stringati comunicati stampa, assomiglia più agli echi di sirene, capaci di stordirci e distrarci, che a una strategia di riscatto e riaffermazione.

Diciamoci la verità, la responsabilità è diffusa, equamente distribuita fra istituzioni, associazioni sindacali e singoli iscritti, questi ultimi troppo distratti rispetto agli accadimenti che li circondano. Osservandoli con attenzione, in una perenne campagna elettorale, i comunicati stampa di volta in volta pubblicati sembrano farsi concorrenza. Piuttosto che darsi manforte, ogni attore agisce in ordine sparso, a volte facendosi notare, altre evitando di farlo per non dare troppa visibilità a chi è stato più tempestivo di se. Più simili a matrigne che a cenerentole, nel tentativo di demonizzare l’alleato concorrente.

Il male della nostra categoria risiede appunto in tale silenzio, perché con esso si spengono le speranze di cambiamento. La strada dell’indifferenza reciproca, ingenuamente percorsa da tanti rappresentati di categoria nel tentativo di riservarsi il proprio posto al sole, sottrae la categoria al confronto e non consente che singole azioni, non esenti da vizi, possano essere successivamente calibrate rispetto alle reali esigenze di un’ampia fetta di categoria.

Si prenda ad esempio il comunicato stampa del 3 giugno 2021 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti con il quale la categoria in audizione sul procedimento di conversione del Decreto Sostegni-bis ha richiesto pubblicamente di differire il termine fissato al 10 settembre 2021 per la presentazione della dichiarazione dei redditi finalizzata alla richiesta del nuovo contributo fondo perduto di matrice reddituale disposto dall’articolo 1 comma 16 del DL n. 73 del 2021. Come noto il Decreto Sostegni-bis ha introdotto un contributo a fondo perduto perequativo rispetto ai precedenti basato, a differenza di quest’ultimi, sulla riduzione del reddito annuale dichiarato ai fini dell’imposta sui redditi. In particolare la disposizione normativa riconosce il contributo a condizione che si verifichi un peggioramento del risultato economico dell’esercizio 2020 rispetto a quello dell’anno precedente non inferiore alla percentuale che verrà successivamente stabilita da un Decreto del Ministro dell’economia e finanze. In questo l’invio della dichiarazione dei redditi entro il 10 settembre 2021 costituisce un requisito inderogabile.

I vertici di categoria, purtroppo, chiedono troppo poco e si limitano a denunciare l’inconciliabilità dei termini fra le procedure necessarie alla richiesta del nuovo contributo e l’attività necessaria alla corretta e completa compilazione del modello dichiarativo. Nella consapevolezza che mai come quest’anno le informazioni aggiuntive richieste al contribuente, soprattutto relativamente alle molteplici misure agevolative, assorbiranno maggior tempo rispetto al passato, il Consiglio Nazionale chiede un differimento al 31 ottobre 2021 del termine previsto dall’articolo 1 comma 24 del DL Sostegni-bis, in una strategia dal raggio troppo corto. Nonostante ciò, nessuno, dico nessuno, è intervenuto a sostegno.

Qui, si ribadisce, il problema è un altro e, per questo, si rischia di veicolare il messaggio sbagliato. Non è dal contributo a fondo perduto, quale evento straordinario, che emerge la necessità di un differimento dei termini, è il complessivo calendario fiscale, fatto di adempimenti e versamenti, ad essere diventato insostenibile. Nello specifico il percorso che porta all’ultimo adempimento dichiarativo dell’anno è diventato troppo lungo ed accidentato per essere affrontato come si faceva qualche anno fa. La stessa dichiarazione dei redditi deve essere ripensata, più leggera rispetto all’odierna e meno legata ad informazioni che nulla hanno a che vedere con la determinazione delle imposte. Il versamento delle imposte, inoltre, deve liberarsi dal rigido schema fatto di acconti e saldi concentrati in un breve intervallo temporale, a favore di un diverso modello di versamento parametrato su 12 mensilità, ognuna delle quali espressione di un dodicesimo delle imposte pagate sull’anno precedente, come proposto dagli Onorevoli Marattin e Gusmeroli solo qualche mese fa.

Dopotutto, fare una riforma fiscale non serve una rivoluzione, ma un’idea rivoluzionaria. Quella di fare squadra comune e colmare i troppi silenzi che hanno ammutolito la categoria. Da soli e divisi non ci saranno orecchie pronte ad ascoltarci.
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