Può accadere, nella realtà quotidiana, che un’impresa non abbia le competenze o una struttura adeguata per rispondere a determinate richieste da parte di potenziali clienti: in tal caso, uno strumento sicuramente da valutare è quello dell’associazione temporanea d’imprese (ATI).
Purtroppo, nel nostro Ordinamento, non abbiamo una disciplina unitaria in materia di ATI, ma soltanto disposizioni normative molto frammentate, volte soprattutto a delineare questa fattispecie con riferimento a particolari settori, come, ad esempio, gli appalti pubblici.
In linea generale, al fine di poter fornire una definizione di questo istituto possiamo richiamare quanto affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5514 del 2011 che qualifica l’ATI come un raggruppamento temporaneo, e, quindi, “uno strumento temporaneo, occasionale e limitato di cooperazione o di integrazione messo in opera, di volta in volta, per consentire a più imprese, tra cui una capogruppo, di presentare un’offerta unitaria in gare d’appalto, alle quali non avrebbero potuto altrimenti partecipare per mancanza dei requisiti tecnici o finanziari o per eccessivo rischio”.
Dal punto di vista fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la costituzione di un’ATI non possa far sorgere un nuovo soggetto fiscale, se non in quei casi in cui le imprese si comportano, per l’esecuzione dell’appalto, in modo unitario e indistinto, sia all’interno dell’associazione che nei confronti dei soggetti esterni (Risoluzione del 13/07/2007 n. 172).
Di diverso avviso risulta invece essere la giurisprudenza, secondo la quale un’associazione temporanea d’impresa non può mai configurare un autonomo soggetto giuridico (Cassazione, sentenza 20 marzo 2009 n. 6791).
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Associazione temporanea di impresa (249 kB)
Associazione temporanea di impresa - Fisco & Contabilità N. 39-2014
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