Associazione in partecipazione - Parte 2

L’associazione in partecipazione è l’istituto negoziale mediante il quale un soggetto – l’associante – attribuisce ad altro soggetto – l’associato – una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, a fronte del corrispettivo di un determinato apporto. Tale tipologia contrattuale presenta alcune caratteristiche del tutto peculiari, che la qualificano come un unicum nel campo del diritto positivo.
Tali caratteristiche vanno principalmente individuate:
- nell’assenza di un nuovo soggetto giuridico e di una gestione comune dell’impresa o dell’affare;
- nell’inesistenza di un fondo comune;
- nell’obbligo per l’associato di provvedere ad un apporto economicamente apprezzabile;
- nell’obbligo per l’associante di rendicontare la gestione o l’affare e di riversare all’associato una parte dell’utile che ne ricava;
- nell’esposizione dell’associato al rischio dell’impresa (la cui gestione rimane di pertinenza dell’associante);
- nella limitazione del rischio imprenditoriale dell’associato, determinata dal valore dell’apporto.
Ora, dopo aver ampiamente analizzato gli aspetti civilistici del contratto, nella seconda parte del focus, ci si soffermerà sulle differenziazioni sintomatiche rispetto ai negozi giuridici che presentano alcuni tratti comuni, con particolare attenzione al contratto di lavoro subordinato, con il quale l’associazione in
partecipazione con apporto di lavoro tende sovente a confondersi.
Sotto tale ultimo profilo, saranno evidenziate le linee interpretative percorse dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, che hanno cercato di rendere sempre più nitido il confine tra le due tipologie contrattuali, ispirando, peraltro, lo stesso legislatore dell’ultimo decennio, il quale è più volte intervenuto per prevenire l’utilizzo distorto e fraudolento del contratto in questione (di gran lunga meno oneroso e vincolante rispetto ai rapporti di lavoro subordinato).