19 aprile 2012

Esercizio abusivo della professione. Il parere dei C.d.l.

La Fondazione Studi C.d.l. commenta la sentenza n. 11545/2012 della Corte di Cassazione, in quanto si è parlato di pronuncia “pericolosa” per quest’ultimi

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa -Gli atti nonché gli adempimenti delle professioni regolamentate sono riservati a coloro che sono iscritti agli albi; qualsiasi attività tipica e di competenza specifica va a configurare il reato di esercizio abusivo della professione. Pertanto, commetteun reato chi svolge un’attività “tipica e di competenza specifica” della professione regolamentata senza però essere iscritto all'Albo professionale. Così i giudici della Cassazione, sezioni unite penali, con la sentenza n. 11545 del 23 marzo 2012, pongono la parola fine al contrasto giurisprudenziale relativo all’ambito di applicazione del reato di abusivo esercizio di una professione (art. 348 C.p.). Tale sentenza ha suscitato particolare clamore fra iC.d.l., tant’è che, con il parere n. 15, la Fondazione Studi ha voluto esprimere un’opinione in merito, in quanto si è parlato di una sentenza “pericolosa” e poco tranquillizzante per questi ultimi.

Il caso –La vicenda riguarda un giudizio penale a carico di un milanese che, secondo l’accusa, aveva posto in essere una serie di reati (truffa, falso materiale in atto pubblico, esercizio abusivo della professione), fingendosi dottore commercialista. L’uomo veniva condannato sia in primo che in secondo grado, limitatamente ai fatti commessi nel 2001. Dal che, il ricorso in Cassazione e l’assegnazione della causa alla Sesta Sezione Penale, la quale, rilevando un contrasto giurisprudenziale su un punto decisivo della controversia, rimetteva la causa alle Sezioni Unite.

Il parere dei C.d.l. –Al riguardo, la Fondazione Studi ritiene che la sentenza in commento, che pure opera la affermata estensionedell’applicazione dell’art. 348 c.p., ha una portata e può ad essa essere riconosciuto un significato obiettivamenteancor più ampio.Infatti, premessa la complessità della sentenza in questione, la norma incriminatrice dell’art. 348 c.p., che punisce chi “abusivamente esercita unaprofessione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”, trova la propria ratio nella necessità di tutelare l’interesse generale, di pertinenza della P.A., a chedeterminate professioni, richiedenti particolari requisiti di probità e competenza tecnica, venganoesercitate soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti inpossesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge. Pertanto, il titolare dell’interesse protetto è soltanto lo Stato e l’eventuale consenso del privato destinatario della prestazione professionaleabusiva non può avere valore scriminante.Infine, i C.d.l.riconoscono sì l’ampiezza applicativa dell’art. 348 c.p., ma pur sempre strettamente destinata a tutelare gli interessisottesi che lo Stato persegue con la norma medesima contro l’esercizio abusivo dell’attivitàprofessionale da parte di chi è privo di qualsiasi tipo di abilitazione.E ciò senza che le intenzioni della Corte possano essere malintese nel senso di assegnare loro chiavi di lettura che finiscano per privilegiare una particolare categoriaprofessionale, in relazione a una determinata tipologia di atti, rispetto ad altra categoriaregolamentata e di pari dignità.
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