29 giugno 2012

Giro di vite sulle “false” partite IVA

In presenza di almeno due dei parametri previsti scatta automaticamente la presunzione di co.co.pro.

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Dopo i 4 sì ottenuti il 27 giugno scorso dalla Camera, la tanto discussa riforma del lavoro, in attesa della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è diventata finalmente legge. Si tratta di una riforma articolata, complessa e – come affermato dallo stesso ministro del Lavoro – sicuramente “non perfetta”, che ha fatto discutere un po’ tutti durante il suo lungo iter legislativo. In realtà, però, è una riforma che non piace quasi a nessuno, ma era comunque da attuare in tempi brevi per consentire al presidente del Consiglio dei ministri di acquisire sempre di più la fiducia dei Paesi dell’Eurozona. Moltissime sono le novità introdotte, ma uno degli argomenti più volte discussi negli ultimi giorni è sicuramente quello delle false partite IVA. Al riguardo, come è noto, l’intenzione del Governo è quella di regolarizzare tutti quei lavoratori che si sono visti invogliare dai propri datori di lavoro ad aprire una partita IVA; appunto “falsa”, al sol fine di evitare d’ingabbiarsi in contratti di lavoro che risultano ovviamente più onerosi e scomodi. Tuttavia, rispetto alle versioni precedenti del D.D.L. il testo definitivo allenta notevolmente la morsa a favore dei datori di lavoro, introducendo dunque criteri più gravosi per dimostrare la falsità della partita IVA aperta.

I parametri – Per scovare i furbetti il Governo si dotato di tre indici presuntivi, ossia: che la collaborazione “fittizia” duri più di 8 mesi nell’arco di un anno (ne erano previsti sei nel D.D.L.); che da questo rapporto il collaboratore ricavi più dell’80% del corrispettivo verso un unico committente (nel D.D.L. era il 75%); che il collaboratore possiede una postazione “fissa” presso il committente (si dovrà dimostrare di avere una vera e propria scrivania).

Le conseguenze - Ma qual è la sanzione per il datore di lavoro in caso di partita IVA falsa? Ebbene, qualora sussistano almeno 2 dei suddetti presupposti, il datore dovrà obbligatoriamente assumere il proprio dipendente mediante un contratto di co.co.co., alla base del quale deve esserci uno specifico progetto affinché possa essere legittimo. In caso di validità del progetto si darà vita a una tipologia di contratto atipica, finora sconosciuta dalla legislazione italiana, ossia “co.co.co.pro. con partita IVA”. Ancora più grave sono le conseguenze per il datore che omette il progetto. Infatti, in tal caso, il rapporto sarà considerato di tipo subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (prima fattura). Inoltre, indipendentemente se vi sia la presenza o meno di un progetto, se l’attività è svolta con modalità analoghe a quella esercitata dai lavoratori dipendenti, la co.co.co. sarà comunque convertita in un rapporto dipendente a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (prima fattura). Ovviamente la presunzione opera salvo prova contrario fornita dal committente.

La decorrenza – Le nuove disposizioni valgono per i rapporti instaurati dopo l’entrata in vigore della riforma, mentre per quelli instaurati in data antecedente si ha una tolleranza di 12 mesi.

Gli esclusi – Tuttavia, come accennato in premessa, esistono delle scappatoie per i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze veri e propri dipendenti, ma inquadrati come lavoratori di tipo autonomo. Dunque, la disciplina non opera quando la prestazione lavorativa sia connotata da capacità teoriche e pratiche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, e rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività. Stesso discorso vale per chi abbia un fatturato annuo non inferiore a 1,25 volte (corrispondente al minimo imponibile previsto per i contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali), che per quest’anno è pari a € 18.663. E ancora, la presunzione non opera con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali che prevedono un'iscrizione in apposito registro, albo, elenco o ruolo. In tal caso, però, è necessario che le mansioni svolte dall’iscritto siano quelle proprie e caratteristiche della professione esercitata, in quanto il requisito dell’iscrizione non è di per sé idoneo a determinare l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto. In ogni caso, un decreto del Ministero del Lavoro fornirà l’elenco delle attività.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy