1 ottobre 2014

Mobbing. Il demansionamento apre al risarcimento danni

Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 18965/2014

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Arriva un’importante precisazione dalla giurisprudenza in tema di mobbing. Infatti, è stato affermato che in caso di demansionamento accertato del lavoratore, quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno professionale che può essere quantificato dal giudice di merito in via equitativa, tenendo conto dei soli giorni lavorativi in cui la professionalità del lavoratore medesimo è stata compromessa. A stabilirlo è la Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 18965/2014.

Il caso – La vicenda, in particolare, riguarda un contenzioso instaurato tra un Istituto di credito e una dipendente, inquadrata con funzione di quadro presso un primario istituto di credito italiano. La lavoratrice lamentava di essere stata, in un primo momento, assegnata all'ufficio VII senza specifiche mansioni e, successivamente, di aver avuto assegnata la preposizione dell'ufficio I Segreteria del Servizio senza ricevere le consegne dal precedente titolare né gli strumenti normativi necessari. Inoltre, la Direzione aveva adottato nei suoi confronti soprusi e dal 2000, trasferita all'ufficio VI, trascorreva la sua giornata quasi del tutto inattiva perché non le era stato affidato alcun incarico. Alla luce di ciò, la dipendente avanzava il risarcimento dei danni subiti per effetto delle continue attività di mobbing di cui era stata destinataria e che le fossero assegnate mansioni adeguate alla sua professionalità, con condanna della società al risarcimento danni, da quantificarsi anche in via equitativa. Il Giudice accoglieva parzialmente la domanda della dipendente; infatti, dichiarava la nullità della domanda riguardante il mobbing e accoglieva la richiesta risarcitoria per danni alla professionalità per esservi stata dequalificazione in un arco di tempo limitato, quantificando equitativamente il risarcimento nella misura della metà delle retribuzioni ricevute per le giornate di effettiva attività con riferimento al predetto periodo, oltre accessori. L’Istituto di credito impugna la sentenza e ricorre alla Corte d’Appello, sostenendo che la sentenza avrebbe "taciuto del tutto sui parametri in base ai quali ha operato la liquidazione equitativa".

La sentenza – La Corte di Cassazione confermava la determinazione equitativa del risarcimento del danno, ritenendo corretta la quantificazione operata dal primo giudice sulla base delle giornate lavorative effettive. Sul punto gli Ermellini evidenziano che, qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinché la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell'ammontare dei danni liquidati.
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