Premessa – Fra le tante novità introdotte dalla manovra, pubblicata in data 6 dicembre 2011 sulla G.U. n. 284, figura un meccanismo c.d. “flessibile” di incentivi e disincentivi sull’assegno pensionistico. Tale meccanismo riguarda in particolar modo chi ha iniziato a lavorare in età prematura, consentendo di accedere ai trattamenti pensionistici anche prima dei 60 anni se i contributi sono stati regolarmente versati durante la carriera lavorativa. Intanto, lo stesso Ministero del Lavoro, Elsa Fornero, non esclude ulteriori ritocchi sul fronte previdenziale specie sul blocco parziale delle perequazioni (che ora colpisce i trattamenti superiori due volte il minimo), a condizione che i saldi della manovra rimangono invariati: “sarei felice se si trovasse una soluzione”, ha detto il ministro.
La penalizzazione – A decorrere dal 1° gennaio 2012 non saranno più sufficienti 40 anni di contributi in quanto, per accedere alla pensione di anzianità (ora sostituita dalla locuzione “pensione anticipata”), indipendentemente dall’età anagrafica, ora occorrono minimo 42 anni e 1 mese di contribuzione per gli uomini (che saliranno a 42 anni e 2 mesi fino al 2013 e 42 e 3 mesi dal 2013) e 41 anni e 1 mese per le donne (con la stesso aggiunta di un mese all’anno fino al 2013). Alla luce di ciò e applicando il meccanismo flessibile, che taglia del 2% la quota di retribuzione dell’assegno per ogni anno inferiore ai 62 anni, è possibile constatare che fra i due sessi vi è un disparità di trattamento.
La disparità di trattamento – Per dimostrare quanto appena affermato, facciamo un esempio. Un uomo che ha cominciato a lavorare a 15 anni e ha versato regolarmente i contributi, con il nuovo sistema maturerà il requisito per l’accesso al pensionamento a 57 anni e 3 mesi, cioè 4 anni e 9 mesi prima dei 62 anni. Poiché il lavoratore ha anticipato la pensione, di conseguenza subirà una ritenuta del 9,75% (2% per ogni anno anticipato, più 1,75% per i 9 mesi restanti). Inoltre, occorre che il lavoratore abbia versato ben 47 anni di contribuzione. Per le donne, invece, a parità di condizione la ritenuta aumenta. Infatti, per le lavoratrice l’uscita dal lavoro si apre 1 anno prima rispetto ai colleghi maschi, compensato però da un aumento della percentuale di ritenuta, mentre il parametro dei 62 anni resta uguale. Riprendendo l’esempio precedente, una donna che inizia a lavorare a 15, versando regolarmente i contributi all’Ente previdenziale di appartenenza, potrà sì cessare l’attività lavorativa 1 anno prima a 56 anni e 3 mesi, ma dovrà scontare un anno di penalizzazione previsto da tale meccanismo (11,75% il 2% in più).
Considerazioni – Alla luce di ciò, ne deriva che il costo dell’anticipo scende proporzionalmente per chi ha iniziato a lavorare più tardi. Lo spartiacque per i lavoratori si pone ai 20 anni, infatti, da questa età in su egli non sarà in nessun caso soggetto alla penalizzazione; mentre per le donne tale limite è di 21 anni. Tuttavia, tale meccanismo è destinato a influire sempre di meno nel futuro, in quanto la penalizzazione agisce solo sulla quota retributiva, che con la nuova riforma previdenziale è destinata a esaurirsi.
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