Sono quasi tutti ex dirigenti di punta del Tesoro. E ora possono contare su lauti stipendi, per molti al tetto massimo previsto per i dirigenti pubblici di 240mila euro. Tra gli altri, Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto di via XX Settembre, e Marco Pinto, suo ex vice. Ma anche Maurizio Leo, ex presidente della commissione di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, e Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti. Sono tutti docenti della scuola superiore dell’Economia e delle Finanze, una delle scuole per la formazione dei dirigenti che oggi il premier Renzi e il ministro Madia hanno l’intenzione di accorpare in un’unica Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Le scuole sono attualmente affiliate a vari ministeri e la riforma pensata dal governo obbedisce all’esigenza di tagliare gli sprechi nella pubblica amministrazione in un’ottica di riorganizzazione. Un primo taglio, indipendente dall’azione di Renzi, ha riguardato proprio lo stipendio di Milanese, finito sotto i riflettori per le sue vicende giudiziarie. Assegnato al Dipartimento Scienze Tributarie, avvocato, è professore ordinario. Ma, da dicembre 2013, percepisce uno stipendio dimezzato, passato da 194.332 euro a 97.166 euro. Molto meno rispetto ad altri professori ordinari come lui, che arrivano al tetto massimo fissato per i top manager, e cioè 240 mila euro. Un assegno che spetta a Fortunato e Pinto, così come a Francesco Tomasone, che è anche prorettore e svolge le funzioni del rettore di cui la Sse è priva, con Giuseppe Pisauro, nominato di recente alla guida dell’ufficio parlamentare di bilancio, un nuova Autorità per la vigilanza dei conti pubblici.
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