Gli strumenti posti in essere come scudi alla crisi di liquidità delle Pmi conseguentemente alla pandemia sono stati indubbiamente straordinari: dal 17 marzo 2020 all’8 marzo 2022 sono stati raggiunti volumi di prestiti coperti dal fondo Centrale di garanzia per un ammontare superiore a 230,5 mld di euro oltre a quelli coperti da «garanzia Italia» di Sace che hanno raggiunto i 33,2 mld di euro. A ciò si aggiungono le moratorie su prestiti ancora attive secondo i dati di gennaio 2022 per oltre 40 miliardi.
Sono questi i principali risultati della rilevazione effettuata dalla task force costituita per promuovere l’attuazione delle misure a sostegno della liquidità adottate dal Governo per far fronte all’emergenza Covid-19, di cui fanno parte Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Banca d’Italia, Associazione Bancaria Italiana, Mediocredito Centrale e Sace.
Dopo la fine della Pandemia e il protrarsi del conflitto bellico tra Russia e Ucraina, si aggiungerà un’ondata di crediti in sofferenza (non performig loans - NPL) in quanto la Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge Bilancio 2022) ha prorogato gli strumenti di garanzia pubblica sui nuovi finanziamenti (tramite il fondo Pmi e Sace) ma non le sospensioni di pagamento dei prestiti già in essere.
Ricordiamo che da aprile 2022, tra l’altro, le imprese che hanno ottenuto nuovi finanziamenti agevolati in continuità con le misure del Cura Italia e del Decreto Liquidità Imprese, devono avviare la restituzione non solo della quota interessi ma anche della quota capitale, con il rischio di ritrovarsi insolventi.
Il fenomeno dei crediti in sofferenza rischia di essere amplificato dalla combinazione di vari elementi, quali, appunto:
- la fine delle moratorie governative;
- l’introduzione della nuova definizione di default. Dal 1° gennaio 2021 è entrata in vigore la nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (articolo 178 del Reg. UE n. 575/2013). La nuova definizione introduce criteri che risultano, in alcuni casi, più stringenti rispetto a quelli finora previsti.
La definizione di default riguarda il modo con cui le singole banche e intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali. La nuova definizione di default prevede che, ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori per le banche e gli intermediari finanziari, i debitori siano classificati come deteriorati (default) al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni:
- a) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni (in alcuni casi, ad esempio per le amministrazioni pubbliche, 180) nel pagamento di un’obbligazione rilevante;
- b) la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione.
La condizione b) è già in vigore e non cambia in alcun modo. Per quanto riguarda la condizione a), un debito scaduto va considerato rilevante quando l'ammontare dell’arretrato supera entrambe le seguenti soglie:
- 100 euro per le esposizioni al dettaglio e 500 euro per le esposizioni diverse da quelle al dettaglio (soglia assoluta);
- l'1 per cento dell’esposizione complessiva verso una controparte (soglia relativa).
Superate entrambe le soglie, prende avvio il conteggio dei 90 (o 180) giorni consecutivi di scaduto, oltre i quali il debitore è classificato in stato di defaul:
- l’entrata in vigore della normativa sul calendar provisioning (Regolamento delegato UE 630/2019) che richiede alle banche ingenti accantonamenti sugli NPL non garantiti.
Con Calendar Provisioning si intende l’insieme di norme europee che impongono alle banche di assumere determinati comportamenti di fronte al deterioramento del credito di imprese e famiglie. Una regolamentazione, dunque, volta a imporre regole precise a chi eroga il credito, in presenza di deterioramento, di fare rettifiche sul credito fino a portarlo a zero in un certo orizzonte temporale prestabilito.
In conclusione, per cercare di accompagnare in maniera più morbida le imprese ad una “nuova normalità” e mitigare gli effetti delle sanzioni conseguenti al conflitto Russia-Ucraina, dal punto di vista dell’accesso al credito dobbiamo pensare ad ulteriori politiche che traghettino le imprese dalla crisi alla ripresa e sopravvivano alla crisi energetica in corso. Una volta stabilizzata la ripresa e terminato il conflitto il sistema potrà cominciare a funzionare secondo le regole ordinarie eliminando l’effetto placebo delle politiche economiche pubbliche in materia.