Li chiamano “affitti brevi”, definizione del fenomeno delle locazioni turistiche della durata inferiore a 30 giorni che nel giro di un decennio appena ha letteralmente rivoluzionato il settore del turismo, trasformando il volto delle più grandi città del mondo. Secondo i dati “Eurostat”, tra luglio e settembre 2022 il numero dei pernottamenti passati attraverso le quattro principali piattaforme che si dividono il mercato (Airbnb, Booking, Tripadvisor, Expedia), aveva superato quota 64 milioni.
Ma per quanto non siamo l’unica causa dei problemi abitativi delle grandi città, gli affitti brevi ne sono comunque fra i principali responsabili, avendo eliminato dallo stock abitativo migliaia di appartamenti che hanno portato ad un progressivo calo dei residenti, sfiancati dalla missione impossibile di trovare un alloggio a prezzi accessibili.
Sul fenomeno, da tempo le grandi metropoli hanno acceso i riflettori, tentando di reagire in modo più o meno drastico muovendosi in ordine sparso: si va da New York, una delle prime a partire, che ha drasticamente vietato gli affitti brevi, passando per Londra (limite di 90 giorni all’anno), Monaco (una tassa per i proprietari) e Parigi, finita per via legali con una piattaforma. Per quanto riguarda l’Italia, lo scorso anno il Ministero del Turismo ha introdotto alcune misure per calmierare gli effetti degli affitti brevi: l’obbligo di permanenza di almeno due notti nelle strutture dei centri storici, il CIN, un codice identificativo nazionale per gli immobili a fini turistici e l’obbligo di segnalare l’attività in forma imprenditoriale (più di quattro alloggi), con pene e multe molto salate previste a partire dal dicembre 2025. Si va da 5mila euro per chi omette il CIN nelle pubblicità agli 8mila per chi invece non espone il Codice all’esterno della struttura.
Una stretta che, dopo una prima fase di test in sette regioni (Puglia, Veneto, Abruzzo, Calabria, Lombardia, Marche e Sicilia, a cui si sono aggiunte nei giorni scorsi Molise, Liguria e Sardegna), è pronta a scattare il prossimo 1° settembre con l’introduzione del CIN per le 500mila locazioni presenti in Italia fra appartamenti e singole stanze, che entro i due mesi successivi all’entrata in vigore saranno obbligate ad esporre e indicare il Codice anche negli annunci, ottenibile dopo averne fatto richiesta al Ministero attraverso la piattaforma “BDSR”, a cui possono accedere anche i cittadini per verificare la presenza o meno del codice della struttura scelta. Lo scopo è creare una banca dati del comparto turistico italiano (compresi B&B, villaggi, campeggi, rifugi, motel, ostelli, alberghi e agriturismi), ma anche censire, controllare e dare filo da torcere all’abusivismo.
Dopo una breve procedura guidata, il CIN viene rilasciato agli immobili in locazione per periodi non superiori a 30 giorni: sono esclusi quelli privi di dispositivi di sicurezza come la rilevazione di gas combustibili e monossido di carbonio. Regole che ovviamente non sono valide solo per i privati, ma anche per le piattaforme, con cui il Governo ha raggiunto un accordo di collaborazione che prevede anche la cancellazione dai rispettivi siti delle strutture non in regola. Al momento, secondo i dati del Ministero del Turismo, risultano registrati 16mila CIN.
La notizia più recente è che le verifiche sono già partite in tutt’Italia, anche se in via sperimentale. La Corte dei Conti, attraverso i dati del sistema “Alloggiati” del Ministero dell’Interno incrociati con le dichiarazioni fiscali fornite dalle piattaforme online di prenotazione, ha già messo gli occhi su un lungo elenco di soggetti a rischio evasione pronti per essere segnalati ad Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza.