Da quando, con la rivoluzionaria sentenza n. 11504/2017, la Corte di Cassazione mandò in pensione il criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio ai fini del calcolo dell’assegno di mantenimento del coniuge divorziato economicamente più debole, la nuova linea è stata pressoché mantenuta, anche se più chiaramente delineata.
Difatti, poco tempo dopo quella pronuncia, sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018, con la quale è stato dettato un criterio compensativo-perequativo come metodo per la determinazione del quantum del predetto assegno:
"Ai sensi dell'art. 5 c.6 della I. n. 898 del 1970 [...] il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto".
Partendo da questa premessa può quindi cogliersi il fondamento posto alla base della recente pronuncia della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 2653/2021 pubblicata lo scorso 4 febbraio, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva revocato l'assegno di divorzio ad una ex moglie di 46 anni a causa del suo “atteggiamento rinunciatario” nel trovare una occupazione che le consentisse di poter raggiungere l’autonomia economica.
La donna aveva impugnato la pronuncia della Corte d’Appello sulla scorta dei seguenti motivi:
- la Corte non sveva tenuto conto, ai fini della revoca, del tenore di vita goduto dalla stessa in costanza di matrimonio;
- la Corte le aveva revocato l’assegno avendola ritenuta astrattamente idonea a svolgere attività lavorativa;
- il giudice d’appello non aveva tenuto conto della sua età e delle sue difficoltà di reinserirsi nel mondo del lavoro, da cui si era allontanata da circa vent'anni;
- ove pure avesse trovato lavoro, non sarebbe stata in grado di rendersi indipendente economicamente;
- sarebbero state omesse, insufficienti e contraddittorie le motivazioni di merito che le hanno negato il riconoscimento pure dell’assegno alimentare ex art. 433 c.c;
- infine, sarebbe stata insufficiente, contraddittoria, se non del tutto assente la motivazione relativa all'accertamento della sua convivenza more uxorio.
La Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo infondato il primo motivo e inammissibili tutti gli altri, così argomentando:
- il primo motivo è infondato in quanto è stato rilevato che la famiglia non godeva di un tenore di vita elevato tale da poter risultare in qualche modo determinante;
- il secondo è stato ritenuto inammissibile perché la revoca dell'assegno divorzile è avvenuta anche in ragione dell'accertata nuova convivenza della ricorrente. Infatti i giudici hanno annullato l'assegno anche perché, come dimostrato dall'ex marito, la donna avrebbe avuto da tempo una nuova relazione stabile, sfociata in una convivenza tenuta nascosta e che lei avrebbe invece descritto come un rapporto «di natura solo amicale»;
- quanto al terzo e quarto motivo l’inammissibilità nasce dal rilievo che la Corte d'Appello, nel disporre la revoca dell'assegno, ha invero proprio tenuto conto dell'età della donna, di soli 46 anni - e quindi non particolarmente avanzata – e dell’assenza di patologie o condizioni di salute ostative all’attività lavorativa tali da costituire oggettivi impedimenti alla possibilità che essa trovasse un impiego, eventualmente anche quello di addetta alle pulizie che già aveva svoto occasionalmente in passato. A ciò si aggiunge il suo atteggiamento particolarmente rinunciatario nel trovare un impiego;
- inammissibile anche il quinto motivo, poiché la domanda di corresponsione di un assegno alimentare non era stata avanzata in sede di merito; ed il sesto, perché finalizzato a ottenere una nuova valutazione dei fatti, che non è prevista in sede di legittimità.
La donna è stata infine anche condannata al pagamento delle spese di giustizia di 1500 Euro.
A questa pronuncia si ricollegano alcuni recenti precedenti:
Lo scorso ottobre sempre la Cassazione aveva stabilito che il diritto all'assegno di divorzio può venire meno nel caso in cui il coniuge beneficiario abbia una relazione sentimentale con periodi più o meno lunghi di convivenza, tanto da rendere stabile la nuova unione. Con questa motivazione la Cassazione aveva accolto il ricorso di un ex marito che aveva chiesto l'annullamento dell'assegno dovuto alla ex consorte che, nonostante di fatto dormisse più giorni a settimana con il nuovo compagno, non aveva mai ufficializzato la convivenza.
Con un’altra ordinanza (n. 18522) dello scorso 4 settembre, la VI sezione civile della Suprema Corte aveva invece confermato l'obbligo di un uomo di versare un assegno divorzile all'ex moglie, la quale – sebbene si fosse impegnata nella ricerca di un lavoro stabile, accettando lavori a termine e partecipando a concorsi – non aveva raggiunto l'autosufficienza economica. In questo caso i giudici avevano valorizzato la circostanza per cui la donna aveva, di fatto, mezzi inadeguati per vivere e ciò era stato motivo sufficiente per confermare il diritto all'assegno, posto che
“l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche”.