La Corte di Cassazione con la sentenza 32473/2021 ha accettato il ricorso dell’Inail contro l’indennizzo alla lavoratrice che subisce un infortunio mentre si sta recando o sta tornando dal bar per la pausa caffè. Il rischio al quale è andata incontro la dipendente di un ufficio giudiziario è la conseguenza di “una scelta arbitraria”.
Precisamente, la signora è stata spinta da impulsi e per soddisfare delle esigenze personali per cui ha creato volontariamente “una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa” anche intesa in senso “ampio”. Alla luce di quanto emerso, la Suprema Corte non riconosce la correlazione tra incidente e lavoro, requisito per ottenere un’indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea nonché un indennizzo per un danno permanente del 10% a causa del trauma al polso riportato dalla caduta. La pausa caffè è considerata “il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente”.
In tale circostanza, il fatto che il datore di lavoro abbia concesso alla dipendente di allontanarsi dal luogo di lavoro per la pausa caffè, risulta essere completamente irrilevante. La Cassazione precisa che "quando l’infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative, la ravvisabilità dell’occasione di lavoro è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venire meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell' ambito dell' attività lavorativa", o di tutto ciò "che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale".
Pertanto, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Inail a differenza di quanto avvenuto nei precedenti gradi di giudizio, durante i quali sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano accolto, invece, il ricorso della lavoratrice. Secondo i giudici la dipendente si è esposta ad un rischio che non può essere definito generico in quanto sussiste il nesso eziologico con l’attività lavorativa. La Corte di Cassazione è giunta a tale conclusione in virtù degli elementi considerati non pertinenti, in primis il permesso accordato dal datore di lavoro. Inoltre, i giudici delle precedenti istanze si erano appellati anche all’assenza di un servizio bar all’interno dell’ufficio.
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