17 novembre 2021

Covid e cambiamento climatico: serve un governo globale

Autore: Redazione Fiscal Focus
Dal G20 di Roma e dalla Cop26 di Glasgow si evincono dei segnali positivi su dei temi di interesse globale tra cui la pandemia e il riscaldamento del Pianeta a causa delle emissioni di CO2.

Si rende necessario, quindi, avere un Comitato esecutivo che consideri similmente tutte le grandi aree del mondo in modo da prendere delle decisioni comuni e rispettarle.

Per quanto concerne il Covid, uno dei temi di interesse globale, basti pensare che su una popolazione di 7 miliardi di persone, tre miliardi, nelle aree più sviluppate, hanno la possibilità di vaccinarsi. Al contempo, quattro miliardi del terzo e quarto mondo, non possono produrre i vaccini, distribuirli e iniettarli. In queste zone potrebbero svilupparsi delle varianti pericolose del Covid, alle quali i vaccini potrebbero non resistere. È chiaro che siamo di fronte ad una situazione d’emergenza: in che modo si possono trasferire, a quei quattro miliardi di persone, risorse economiche e vaccini? Come si organizza la logistica di distribuzione e di inoculazione? Senza tali soluzioni, la pandemia da Covid-19, si ripresenterebbe, nei prossimi anni, in forma grave. La decisione di trasferire al terzo mondo 1 miliardo di dosi di vaccino è azzeccata. Tuttavia, il problema è come produrre e distribuire nel mondo 10 miliardi di dosi all’anno per almeno i prossimi cinque anni.

Con riferimento al fattore ambiente, si devono considerare i dati, differenziando l’attuale stock accumulato dall’inizio dell’industrializzazione fino ad oggi e i flussi di emissioni di C02, i quali si aggiungeranno da oggi in poi. L’attuale stock, negli anni precedenti, è stato così prodotto:
  • Stati Uniti (25%);
  • Unione Europea (22%);
  • Cina (13%);
  • India (3%).

Su tali dati, i Paesi emergenti muovono le accuse a quelli industrializzati, in quanto Stati Uniti ed Europa hanno inquinato il mondo per circa il 50% dello stock attuale, e ora, vogliono dettare limiti all’inquinamento degli altri. Tuttavia, tali Paesi non sono disposti a rallentare il loro sviluppo per ridurre le emissioni.

Considerando i territori di produzione di beni e servizi, i “flussi” di emissioni di CO2, nel presente e nel futuro, sono attualmente determinati da:
  • Cina (28%);
  • Stati Uniti (15%);
  • Unione Europea (9%);
  • India (7%).

Se invece consideriamo le emissioni, non in base a dove vengono prodotti beni e servizi ma in base a dove questi ultimi vengono “consumati”, emerge che i flussi di CO2 sono prodotti da:
  • Stati Uniti (18%);
  • Unione Europea (8%);
  • Cina (6%);
  • India (2%);
  • Resto del mondo (66%).

Alla luce di ciò, si conferma che la Cina è il grande produttore-inquinatore-diretto del mondo, anche se i suoi beni e servizi sono consumati principalmente in America e nel resto del mondo, per cui i consumatori divengono “inquinatori- indiretti”.

Dunque, è necessario un nuovo G8 poiché la transizione ecologica è costosa, non solo come vincoli precisi da definire, ma anche per quanto riguarda gli investimenti da fare con trasferimenti di risorse e tecnologie dai Paesi avanzati agli altri. In tale scenario, solo un governo “globale” può assumersi la responsabilità di prendere delle decisioni condivise e rispettate.

In realtà la soluzione definitiva al problema ci sarebbe: l’energia nucleare, peccato che, nella migliore delle ipotesi, arriverà tra trent’anni. La transizione, dunque, dovrà basarsi anche su quella attuale di quarta generazione definita “pulita”.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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