L’aveva ripetuto e promesso più volte, e puntualmente Donald Trump ha iniziato a far capire al mondo intero che in America la stagione di saldi e sconti è finita. Riprendendo una politica fatta di guerre commerciali che avevano caratterizzato il primo mandato, mentre il fidato Elon Musk si occupa dei razzi, il neo-presidente ha ripreso il lancio dei dazi, disciplina che richiede una buona dose di aggressività del tutto democratica e trasversale, perché colpisce indistintamente alleati e Paesi amici al pari di altri con cui i rapporti sono più tesi.
Non a caso, il lungo elenco di Paesi da colpire si è aperto con Messico, Canada e Cina, i primi due colpiti e affondati con una tariffa di importazione negli Stati Uniti del 25%, che scende al 10% per la Cina. Per tutti, indistintamente, vale una postilla a margine: chi pensa di reagire imponendo a sua volta aumenti delle tariffe sarà soggetto ad altre azioni ritorsive. In qualche modo, una rilettura yankee della celebre frase del Marchese del Grillo di Alberto Sordi: “Io so’ io, e voi non siete un c***o”.
Ma ora, secondo voci che circolano con insistenza negli ambienti di Washington, è arrivato il momento di regolare i conti con la vecchia Europa, continente che stenta ad avere posizioni comunitarie, preferendo spesso agire in ordine sparso. Secondo il ministro del Tesoro americano, Scott Bessent, sarebbe sufficiente imporre tariffe universali del 2,5% sulle importazioni da far salire gradualmente ogni mese per spingere aziende e Paesi a negoziare.
Ma il tycoon ha fretta di regolare i conti con chi, secondo lui, finora “ha trattato male l’America e approfitta di noi: abbiamo un deficit di 300 miliardi di dollari. Non prendono le nostre auto o i nostri prodotti agricoli, e noi importiamo milioni di automobili e quantità enormi di cibo”.
Quello che tutti si aspettano è una risposta europea solida e compatta, come auspicato nelle scorse settimane da Valdis Dombrovskis, commissario UE agli Affari economici. E l’Italia, malgrado gli ottimi rapporti che corrono tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca, difficilmente riuscirà a schivare la scure dei dazi, con pesanti ripercussioni che potrebbero farsi sentire in diversi settori strategici per l’export italiano, che ha negli Stati Uniti il secondo mercato dopo la Germania.
La stangata per il Made in Italy, secondo alcune stime, potrebbe superare i 10 miliardi di euro, uno scossone da sommare ai quasi 2 miliardi di dazi del 2023, che finirebbe per pesare su settori di punta dell'export come la moda, i mobili, il legno, i metalli, la meccanica e l'agroalimentare, che nel 2024 hanno esportato merci per 67 miliardi di euro, a fronte dei 25 miliardi delle importazioni di prodotti statunitensi. Secondo Confartigianato, un aumento delle tariffe del 10% per l'Italia si tradurrebbe in un calo del 4,3% dell'export, con il rischio di salire al 16% nel caso i dazi fossero fissati al 20%.
Uno dei primi obiettivi di Trump è il mercato dei farmaci, visto che, secondo i dati dell’US Bureau of Labor Statistics, il 40% dei medicinali utilizzati negli Stati Uniti arriva da India ed Europa, e l’Italia, in particolare, esporta farmaci per più di 4,5 miliardi di dollari, con un incremento nel 2024 che ha toccato +19,5%. Ma anche il settore dell’arredo, che esporta oltre il 50% della produzione e ha negli Stati Uniti il secondo mercato di riferimento, con un giro d’affari pari a 1,4 miliardi di euro, dorme sonni agitati. Tradizionalmente è però l’agroalimentare, con le infinite specialità italiane, una delle punte di diamante dell’export verso gli Stati Uniti, con un valore complessivo di 6 miliardi di euro, di cui almeno due riferiti a vini e liquori, mercato che solo per il vino vale il 29% dell’export.
Secondo diversi quotidiani, gli “sherpa” del presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen avrebbero già aperto un canale per negoziare con Washington, spingendo per un maggiore acquisto di GNL, il gas naturale liquefatto americano che ha in parte sostituito il gas russo, e di ulteriori armamenti “made in USA”, in cambio di una politica sui dazi non aggressiva.
Ma nessuno esclude che la risposta europea possa arrivare anche a un attacco simile ai prodotti importati dagli Stati Uniti, dall’agroalimentare agli alcolici, senza dimenticare le moto e l’automobile, oltre a una possibile stretta verso i colossi hi-tech della Silicon Valley.