13 febbraio 2021

Genitori invadenti

Autore: Ester Annetta
Essere genitori troppo invadenti può essere un reato.

Potrebbe leggersi così la sentenza della Cassazione n. 2512/2021 che ha confermato la pronuncia con cui un padre è stato condannato per stalking ai danni della figlia, per via della propria condotta assillante.

La sentenza impugnata, pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna, aveva peraltro confermato la decisione del Tribunale che aveva condannato il ricorrente alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni -liquidato in 20.000 euro - in relazione al reato di atti persecutori in danno della figlia, minorenne all’epoca di fatti.

In pratica, il genitore, avendo una situazione conflittuale con il coniuge separato e conseguenti difficoltà a vedere la figlia, nel tentativo di cucire un rapporto con lei, soleva spesso presentarsi senza invito e senza preavviso ai suoi eventi sportivi e di divertimento, con ciò provocandole, tuttavia, una condizione d’ansia.

La sentenza d’appello è stata impugnata dal ricorrente sulla base dei seguenti motivi:

1. L’erroneità del rimando per relationem, effettuato dalla Corte d’Appello, alle prove testimoniali escusse in primo grado, sulle quali proprio nei motivi d’impugnativa era stata espressa censura per loro erronea valutazione. Nello specifico, infatti, secondo il ricorrente:
  • a. la parte civile ha fornito dichiarazioni contraddittorie, imprecise e false;
  • b. la deposizione della madre della persona offesa non è attendibile perché dettata dalla situazione di conflitto con l'ex compagno;
  • c. è stato trascurato che dalla Ctu sono emerse condotte di alienazione parentale commesse dalla madre ai danni della figlia;
  • d. il giudice del gravame non ha considerato che le condotte del ricorrente erano dettate da un rapporto difficile con la figlia;
  • e. non può ritenersi sussistente un evento di danno visto che, come ammesso dalla persona offesa, essa non ha mutato le proprie abitudini di vita ed ha mantenuto un ottimo rendimento scolastico.

2. La mancanza dell'elemento soggettivo del reato di atti persecutori: in sede di appello è emerso infatti che la ragazza era solo infastidita dalle visite del padre, che cercava solo occasioni per vederla in un contesto inasprito dal rapporto conflittuale con la ex compagna.
3. Il vizio di motivazione circa l’idoneità delle proprie condotte a provocare stati di ansia o di paura o ad ingenerare un fondato timore per l'incolumità della persona offesa o a costringerla a cambiare abitudini di vita.
4. Il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena e il rilievo che la condanna subita impone al ricorrente di astenersi dai comportamenti che gli sono stati attribuiti senza che egli ne sia affatto pentito, ritenendo, viceversa, che siano i soli a consentirgli di poter svolgere il proprio ruolo di padre.
5. Il vizio motivazionale circa la liquidazione del risarcimento del danno, poichè la Corte non ha accertato la sussistenza effettiva di un pregiudizio in danno alla figlia e non ha tenuto conto della condotta non aggressiva del padre nell'approcciarla, nel tentativo di conservare un rapporto con la stessa.

La Cassazione ha però respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

Quanto ai primi tre motivi, analizzati congiuntamente perché strettamente connessi, la Suprema Corte ha anzitutto precisato che il vizio di motivazione (sostenuto dal ricorrente riguardo all’erronea valutazione delle prove) non può dedursi in Cassazione solo perché il giudice, secondo il ricorrente, avrebbe disatteso degli elementi di valutazione che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, dal momento che è solo quando la rilevanza di tali elementi sia oggettivamente ed inequivocabilmente decisiva che tale rilievo può farsi valere e a patto che il ricorrente li deduca con precisione; ipotesi che, nella specie, non si è verificata dal momento che le deduzioni ripropongono in sostanza la tesi difensiva già esposta in sede di merito senza aggiungere nulla di nuovo e oggettivamente rilevante.

Anche con riferimento all’asserita contraddittorietà della deposizione resa dalla ex compagna, il ricorrente si è concentrato su episodi irrilevanti che si riducono, comunque, solo alla riproposizione della tesi difensiva secondo cui egli avrebbe agito solo al fine di superare l’ostilità della figlia cercando di interessarsi alla sua vita. A tal proposito già in primo che in secondo grado il giudice aveva invece concluso per l'inadeguatezza dei metodi di approccio del padre nei confronti della figlia, connotandone le "modalità disturbanti e persecutorie, caratterizzate da una tale ripetitività e assenza d'interesse per gli stati d'animo della figlia (si pensi alle irruzioni nelle occasioni conviviali o sportive coinvolgenti quest'ultima) da generare un evidente turbamento di quest'ultima." In sede testimoniale infatti la figlia "ha confermato sentimenti di vergogna e di estremo imbarazzo, ma anche di paura per l'imprevedibilità del genitore, al quale aveva direttamente rappresentato il disagio che le sue condotte ossessive le provocavano." E non rileva che la figlia abbia continuato a praticare attività sportiva e che il suo rendimento scolastico non abbia risentito della situazione. Per ritenere integrata la fattispecie di atti persecutori, non occorre, infatti, che la personalità della vittima venga annullata, al contrario, la stessa pare compatibile con il tentativo di reagire alle condotte persecutorie.

Per quanto riguarda poi il profilo soggettivo del reato, la Corte ha ricordato che il reato di stalking richiede per la sua configurazione il dolo generico, ossia la volontà di porre in essere più condotte di minaccia o molestia nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi contemplati dalla norma e della loro abitualità, senza una necessaria preordinazione, essendo sufficiente la casualità e occasionalità dei comportamenti persecutori.

Il quarto motivo è stato ritenuto inammissibile in quanto i giudici hanno negato la concessione della sospensione condizionale della pena a causa della durata della condotta dell'imputato e della resistenza dal medesimo dimostrata nel modificare i tentativi di avvicinamento alla figlia, come consigliato dai consulenti.
Il quinto motivo, infine, non è stato esaminato in quanto oggetto di rinuncia all'udienza di discussione.
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