È curioso che debba volerci un tempo spesso molto lungo per costruirsi una fama positiva laddove invece ne basta pochissimo per demolirla e screditarla. Come pure è altrettanto faticoso recuperare l’integrità di ciò che è stato calpestato anche quando il tempo, i fatti e la giustizia abbiano dimostrato l’incolpevolezza, specie se alla riabilitazione non viene concessa la stessa risonanza data all’accusa.
E’ ciò che solitamente accade quando l’informazione scavalca le garanzie personali e, dunque, il diritto (oggettivo) di cronaca – espressione di quella libertà di pensiero che consente di pubblicare ogni accadimento di interesse pubblico o che avviene in pubblico – va a cozzare con il diritto (soggettivo) all’oblio spettante a chi, una volta escluso il proprio coinvolgimento in quegli accadimenti, rivendichi la non diffusione di notizie (specie quelle di natura giudiziaria) che risultino lesive del proprio onore.
La questione è dibattuta da tanto, ma lo è diventata ancor di più nell’era di internet, giacché in rete è possibile trovare, anche a distanza di tempo, tracce di vicende che - seppure evolutesi in maniera opposta al loro inizio e conclusesi col riconoscimento dell’estraneità ai fatti dei protagonisti – non sono state aggiornate, con la conseguenza di lasciar persistere quella “fama negativa” che hanno comportato.
Lo scorso 27 gennaio è stata pubblicata una proposta di legge (n.632) che prevede “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di pubblicità delle sentenze di assoluzione o proscioglimento”, tendente a potenziare le attribuzioni del Garante per la privacy, concedendogli di intervenire con ingiunzioni o sanzioni ove, a seguito di richiesta dell’imputato assolto con sentenza divenuta irrevocabile o dell’indagato prosciolto, il direttore o il responsabile di una testata giornalistica, radiofonica, televisiva o online non dia pubblicità alla sentenza di assoluzione o di proscioglimento, ovvero non lo faccia con le stesse modalità e la stessa evidenza data alla notizia dell’avvio del procedimento penale o alle dichiarazioni, informazioni e atti oggetto del processo.
In attesa dell’intervento legislativo, le decisioni restano però affidate ai giudici.
Ed è proprio in questo contesto che si inserisce la recente pronuncia della Cassazione (l’ordinanza numero 2893 depositata il 31 gennaio 2023) che, in relazione ad una specifica vicenda, ha cercato di individuare un criterio di giusto bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza.
Il caso è quello di due professionisti – un assessore e un dirigente di un comune campano - arrestati per i reati di concussione, peculato e falso ideologico in atto pubblico in relazione alla realizzazione di un parcheggio presso un’area archeologica e successivamente assolti e risarciti per ingiusta detenzione. Poiché la notizia aveva avuto un’ampia risonanza, una volta scagionati i due avevano chiesto - tanto all’agenzia giornalistica cha al quotidiano diffusore - la cancellazione degli articoli relativi alla vicenda dagli archivi online o, quanto meno, la loro manipolazione con l'introduzione di “pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative”, unitamente all’aggiornamento della notizia attraverso l’inserimento delle sentenze di assoluzione e dell’ordinanza di ingiusta detenzione.
La prima aveva ottemperato alla richiesta, mentre il quotidiano si era rifiutato di farlo, sostenendo la verità storica di quanto riportato e la funzione di documentazione dell’archivio, e ritenendo perciò che fosse sufficiente provvedere soltanto alla deindicizzazione della notizia (ossia l’operazione che non elimina il contenuto ma lo rende non direttamente accessibile tramite link da motori di ricerca esterni all’archivio in cui esso è contenuto), senza dovere procedere alla sua rimozione o anonimizzazione.
Il Tribunale adito aveva accolto tale posizione, e perciò la questione era stata riproposta in Cassazione, che, al termine di una completa ricostruzione normativa e giurisprudenziale condotta anche alla luce del regolamento generale UE sulla protezione dei dati personali n. 679 del 2016 (c.d. GDPR), è giunta a pronunciare l’ordinanza sopra menzionata.
Per la Suprema Corte, nel caso di specie è evidente l'insorgere di un conflitto fra il diritto dell'interessato alla tutela dei suoi dati personali e alla riservatezza - che si declina nel diritto a essere dimenticato - e il diritto all'informazione, che si esprime, in particolare, nell'esigenza di conservazione della memoria del passato in funzione storica e archivistica. Per la sua soluzione, “è indispensabile procedere a un bilanciamento dei valori in gioco, che va condotto tenendo conto primariamente della disciplina Europea contenuta nel regolamento UE 679/2016 (GDPR)”, ove, tra l’altro, si afferma che “il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità, tra i quali la libertà di pensiero, la libertà di espressione e d'informazione e la libertà d'impresa.”
Ciò posto, la Corte ha ritenuto che “l'equo contemperamento dei diritti in conflitto non possa essere raggiunto attraverso l'accoglimento della richiesta principale dei ricorrenti, ossia la cancellazione tout court degli articoli in questione dall'archivio on line del quotidiano, che annichilerebbe con l'iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell'archivio del giornale, che è oggetto di un rilevante interesse pubblico, di rilievo anch'esso costituzionale ex artt. 21 e 33 Cost..” Essa, difatti, menomerebbe la memoria storica dell'archivio che “diverrebbe incompleta e falsata e così se ne perderebbe la funzione.”
Invece, “non è così per la richiesta di aggiornamento mediante la mera apposizione agli articoli, su istanza dell'interessato, di una nota informativa volta a dar conto del successivo esito dei procedimenti giudiziari con l'assoluzione degli interessati e il risarcimento del danno per ingiusta detenzione. In tal modo l'identità dell'articolo, che in sé e per sé rimane intonso, è adeguatamente preservata a fini di ricerca storico-documentaristica, ma al contempo vengono rispettati i fondamentali principi di minimizzazione ed esattezza.” La soluzione accolta è inoltre conforme al principio di contestualizzazione e aggiornamento dell'informazione e previene al tempo stesso "un pregiudizio ben più consistente per l'interessato".
La Corte ha dunque in finale formulato il seguente principio di diritto: "In tema di trattamento dei dati personali e di diritto all'oblio, è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria, poi sfociata nell'assoluzione dell'imputato, purché, a richiesta dell'interessato, l'articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca, ma solo attraverso l'archivio storico del quotidiano e purché, a richiesta documentata dell'interessato, all'articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell'esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale".