3 settembre 2022

Il prescelto

Autore: Ester Annetta
La notizia risale alla prima decade d’agosto e dunque non è propriamente di prima mano; ma, visto il tema, pare quanto mai opportuno riproporla alla vigilia della ripresa dell’anno scolastico.

Si tratta di una delle novità introdotte dal Decreto Aiuti Bis pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 agosto 2022, quel “canto di cigno” del morente Governo che, nel disporre rifinanziamenti e altre misure economiche a sostegno di famiglie e imprese, ha coniato la curiosa e (evidentemente) inopportuna figura del “docente esperto”.

In un settore com’è quello dell’istruzione, in cui la categoria degli insegnanti risulta tra le peggio retribuite d’Europa, tanto più che il relativo contratto – scaduto da anni – è ancora ben lungi dall’essere rinnovato, non può difatti che definirsi inopportuna la proposta di favorire un “prescelto” che, peraltro, nemmeno nell’immediato ma solo al termine di un percorso di alta formazione della durata di nove anni (l’equivalente di uno scatto di anzianità), potrà ricevere un bonus di poco più di 5000 euro l’anno, in unica soluzione (all’incirca 300 euro netti in più al mese).
Per chi è addentro nel mondo della scuola, la notizia si commenta da sé, senza bisogno di sottolineature (decisamente in blu!) tant’è la goffaggine della trovata, tale da rasentare l’offesa.

Vale tuttavia la pena di rimarcarne alcuni aspetti che possano aiutare a comprendere come la previsione del decreto più che apparire come una misura di sostegno rischi di innescare effetti gravi e indesiderati.

Nello specifico, secondo la norma, la qualifica di “esperto” spetterà ai docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva al termine del predetto periodo di formazione che consta di tre percorsi triennali consecutivi e non sovrapponibili. I criteri in base ai quali si otterrà la suddetta etichetta saranno rimessi alla contrattazione collettiva, ma, nelle more dell’aggiornamento contrattuale, si adotteranno i seguenti: media del punteggio ottenuto nei tre cicli formativi; in caso di parità di punteggio, sarà prevalente la permanenza come docente di ruolo nell’istituzione scolastica presso la quale si è svolta la valutazione; in subordine, varrà l’esperienza professionale maturata nel corso dell’intera carriera e i titoli di studio posseduti.

Tutto questo perché? Perché la norma ha previsto che a partire dal 2032 e fino al 2036 potranno essere prescelti –appunto - soltanto 8.000 docenti per ciascun anno (dunque, complessivamente di 32.000 unità) e, dunque, si rende necessaria anche una selezione!

Si badi bene, poi, che l’acquisizione della qualifica di docente esperto non assegnerà nuove o diverse funzioni oltre a quelle dell’insegnamento e, per di più, comporterà il vincolo di rimanere nell’istituzione scolastica cui si è assegnati per almeno il triennio successivo al conseguimento della qualifica.

Quali sono le evidenti incongruenze di questa previsione è presto detto:
in primis, il pericolo maggiore è che si creino pericolose e inutili situazioni di agonismo e rivalità tra colleghi, quando, viceversa, per un’efficace azione didattico-educativa la collaborazione, la solidarietà e la sinergia sono condizioni fondamentali e necessarie;
in secondo luogo, potrebbe aver senso il conio di una diversa figura ove ad essa corrispondesse un effettivo progresso di carriera interna, con l’assegnazione di funzioni diverse (tutoraggio, formazione, compiti organizzativi). Di fatto, esistono già nella scuola delle figure esperte, se si pensa ai docenti specializzati sul sostegno, a quelli in possesso di un titolo CLIL (che consente l’insegnamento di una materia in altra lingua) e a quelli che svolgono funzioni vicarie o di collaborazione (il “vicepreside” di un tempo, i coordinatori di classe, i referenti di disciplina, ecc.): allora perché non pensare, invece, a concorsi interni che valorizzino e consolidino tali specificità?

Infine - ma è forse la considerazione principale – è verosimile che il docente che segue un percorso di Alta Formazione di nove anni sia davvero “aggiornato” al termine dello stesso o non ci sia piuttosto il rischio che quanto avrà infine appreso risulti già datato rispetto alla velocità con cui mutano le caratteristiche, le esigenze e persino il lessico degli studenti?

Non è forse più efficace l’apprendimento sul campo che da sempre forma migliaia di insegnanti ai quali si richiedono solo passione, spirito d’osservazione ed empatia affinché risultino capaci e competenti? E, ancora, non sarebbe più utile consentire a moltissimi di quegli stessi insegnanti che non utilizzano nel proprio lavoro ordinario una serie di conoscenze, abilità e competenze - che pure possiedono - di metterle a disposizione della scuola rivestendo altri ruoli o dando essi stessi lezioni senz’altro più concrete ed efficaci di quelle che si pretende di far loro impartire da una costosa Scuola di Alta Formazione?

Già, perché c’è anche questo da considerare: che la previsione formativa comporta la messa in campo di un impegno economico considerevole da parte dello Stato per l’istituzione ed il foraggiamento delle S.A.F.

E il timore è, perciò, che la geniale trovata possa rivelarsi un ulteriore, colossale flop com’è stato - non molto tempo addietro – per il ridicolo investimento nei banchi a rotelle.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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