Il mio caro amico - nonché mio istruttore subacqueo - Salvatore da qualche anno vive a Ischia, dove gestisce un diving.
L’ho sentito per telefono sabato scorso, non appena ho avuto notizia del dramma dell’isola: ero in pena al pensiero che potesse essere capitata qualcosa a lui o alla sua famiglia. Fortunatamente era nelle Marche – di cui è originario – ma, ad ogni modo, la sua casa non si trova a Casamicciola e dunque non ha subito danni. Ci ha tenuto però a dirmi che “purtroppo da quelle parti capiterà sempre qualcosa finché la gente continuerà a costruire abusivamente dove non si può costruire.”
Parto da qui con la mia riflessione, rifacendomi a tutto quanto si è detto in questi giorni a proposito di colpe e responsabilità di quanto è accaduto.
È parso perlopiù di assistere ad uno sconcertante scaricabarile su chi ha fatto/non fatto, consentito/non consentito qualcosa, fino al paradosso di condoni che pur se ne hanno il nome si nega che tali siano.
C’è un dato di fatto, però, da cui non si scappa ed è che Ischia non è mai stata un’isola “ferma”: il rischio vulcanico, sismico ed idrogeologico di cui è ostaggio è noto già da quel lontano 1883 che vide proprio Casamicciola devastata da un violento terremoto, tanto sconvolgente che da allora “Pare Casamicciola!” è diventato un modo di dire per indicare una condizione di estrema confusione e disordine.
E ancora altre frane e altri terremoti si sono susseguiti - nel 2006, nel 2009, nel 2015 e nel 2017, solo per citare i più recenti –, sempre terribili e devastanti, confermando ogni volta il quadro di un territorio che non riesce a prevedere e nemmeno a contenere i rischi.
Qui si aggiunge, poi, un ulteriore incontrovertibile dato di fatto: l’abusivismo edilizio è un male diffusissimo in tante zone d’Italia, ed Ischia non fa eccezione.
A metterlo in rilievo è stato proprio il “condono-non condono” tanto criticato in questi giorni, quel decreto Genova, scritto nel 2018 all’indomani del disastro del ponte Morandi, che se davvero, di per sé, non condona alcunché, con la previsione contenuta nell’art. 25 di fatto ha accelerato la definizione dei precedenti condoni, al fine di risolvere tutte le pratiche che – a seguito dei tre provvedimenti legislativi di sanatoria edilizia nazionale rispettivamente datati 1985, 1994 e 2003 – risultavano ancora pendenti e non concluse.
A Ischia di tali domande – dati alla mano - se ne contano 27.000, ossia un numero pari alla metà delle case che vi sono state edificate, 600 delle quali completamente abusive.
Secondo Legambiente nei comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno – che contano circa 13 mila abitanti - le pratiche di condono sono oltre 6 mila: di fatto una su due abitanti.
È senz’altro possibile che molte di quelle domande di sanatoria avessero riguardato abusi minori ma è altrettanto verosimile che buona parte delle case condonate avesse invece problemi più importanti, com’è pure è certo che 600, appunto, erano totalmente abusive. Ciò implica che molte costruzioni sono state edificate troppo attaccate ad altre o sradicando alberi che tenevano il suolo, col risultato di renderlo più fragile ed insicuro.
La “colpa” allora dell’ultimo “condono-non condono” del 2018 non è quella di aver sanato ex novo nuovi abusi, ma di aver – con troppa leggerezza evidentemente, in nome di una prioritaria esigenza di ricostruzione che a Ischia si reclamava dopo l’ultimo terremoto del 2017 – concesso di sanare indistintamente gli abusi, e addirittura di costruire case con fondi pubblici in quegli stessi luoghi dove il rischio idrogeologico era ormai appurato.
Allora, che ci siano state responsabilità dirette o indirette poco conta alla luce degli accadimenti.
I sindaci di Forio e Lacco Ameno possono pure continuare ad accusare di sciacallaggio i giornalisti che “insinuano” un eccesso di abusivismo che in realtà non c’è, come altrettanto può la politica negare che “aver agevolato” un condono non equivalga a “condonare”.
Ciò che alla fine di tutto resta è l’amara realtà di vittime innocenti – bambini soprattutto – che di frane, terremoti e condoni non sanno nulla.
E di tanti – troppi – che continuano maldestramente ad accusare le tempeste, le calamità e il destino di sciagure che hanno fondamentalmente ed innegabilmente cause umane.
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