Con la
sentenza n. 31210/2021, la Cassazione Penale ha ritenuto che non si configuri il reato contemplato dall’art. art. 316 ter Codice Penale (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) a carico di chi abbia omesso di dichiarare all’INPS il decesso di un congiunto, continuando pertanto a percepirne i ratei di pensione accreditati sul suo conto corrente.
Ha così annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Catania che aveva condannato due donne ad un anno di reclusione ciascuna per non aver effettuato la predetta comunicazione ed aver utilizzato, attraverso una carta di credito, somme depositate sul conto corrente della loro congiunta defunta, conto di cui l’una era cointestataria e sul quale l’altra aveva delega ad operare.
La sentenza del giudice di secondo grado era stata impugnata dalle due imputate che avevano sollevato le seguenti doglianze:
- errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione sulla responsabilità per quanto riguarda l'utilizzo - peraltro supposto - delle somme pervenute sul conto corrente, trascurando che la carta di credito impiegata era smagnetizzata e non funzionante e che la stessa era stata rivenuta nella disponibilità della madre defunta;
- violazione di legge per il mancato proscioglimento dal reato stante l'intervenuta prescrizione, alla luce della errata e contraddittoria motivazione della Corte di Appello che ha qualificato il reato commesso come a "consumazione prolungata".
La Cassazione ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il reato previsto dall’art. 316 ter c. p. è posto a tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione e, dunque, della corretta allocazione delle risorse pubbliche. Si realizza, pertanto, con il conseguimento indebito di erogazioni pubbliche ottenute con particolari modalità d’azione è, cioè, mediante "utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere" o "omissioni di informazioni dovute". Perciò, secondo gli ermellini, “
le informazioni, la cui omissione può integrare la fattispecie di cui all'art. 316-ter cod. pen. devono essere "dovute", devono, cioè, trovare fondamento in una richiesta espressa dell'ente erogatore o, comunque, risultare imposte dal principio di buona fede precontrattuale di cui all'art. 1337 cod. civ., ipotesi, quest'ultima, concretamente invocabile in relazione ad una istruttoria finalizzata alla concessione di erogazioni pubbliche.”
La Cassazione ha peraltro rilevato che nella sentenza impugnata la violazione della comunicazione del decesso del beneficiario del trattamento era stata fatta discendere dalle seguenti norme:
- dall'art. 72 del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, che pone l'obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso:
- all'ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto;
- a carico dei "congiunti" o della "persona convivente con il defunto" (o di un loro delegato) o - in mancanza - della persona "informata" del decesso;
- in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato;
- dall’art. 34 della legge 21 luglio 1965, n. 903 e dall'art. 31, comma 19, legge 27 dicembre 2002, n. 289 che fanno obbligo al responsabile dell'Ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all'ente di previdenza la morte dell'assicurato (obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria) e che stabiliscono altresì che a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi l'INPS, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica le informazioni ricevute dai Comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza;
- dall’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità per il 2015) che ha sancito l'obbligo per i medici necroscopi di invio on line del certificato di accertamento del decesso entro 48 ore dall'evento, utilizzando le stesse modalità già in uso per la trasmissione delle certificazioni di malattia.
Ha dunque osservato che manca una norma che ponga espressamente a carico dei congiunti del defunto un obbligo di comunicazione del decesso all'INPS, precisando che "siffatto obbligo non è imposto ai congiunti in relazione al trattamento pensionistico erogato” spettando ad essi “unicamente la comunicazione del decesso della congiunta al Comune di appartenenza”, debitamente assolta e in forza della quale si sono attivate le indagini della Guardia di Finanza che hanno comparato le certificazioni di decesso alle risultanze della banca dati dell'istituto erogatore constatando che il pagamento della pensione era ancora in corso. L’omissione della comunicazione all'INPS non è dunque imputabile alle imputate ed incombeva invece all'Ufficiale di Stato civile che aveva redatto la scheda di morte.
In sostanza, la Corte d’appello, secondo la Cassazione, ha errato nel ritenere che le imputate fossero tenute ad effettuare la comunicazione del decesso della congiunta all’INPS poiché “l'unico incombente informativo posto a carico dei congiunti (o della persona convivente) del defunto consiste nella comunicazione dell'evento, entro ventiquattro ore, all'Ufficio Anagrafe del Comune, come previsto dall'art. 72 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, dovendo a ciò conseguire da parte degli enti a ciò preposti (Comune e, sulla base del Casellario delle pensioni, INPS) l'eventuale ulteriore comunicazione agli altri enti che risultassero erogatori di trattamenti pensionistici in favore del defunto. la relativa comunicazione”.
Manca, dunque, nel caso di specie, uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta contestata, rappresentato dall'omissione di informazioni dovute che non sono neppure in astratto configurabili nel rapporto tra l'Istituto ed i congiunti della persona che usufruisce del trattamento pensionistico a questo estranei.
L’onere informativo grava viceversa sul Comune di residenza e sull’istituti di credito presso cui è in essere il rapporto di conto corrente del defunto e contro i quali l'INPS può dunque rivalersi.