Nel 1946 gli orrori del Secondo conflitto mondiale appena terminato erano ancora memoria recente e l’urgenza di impedire che, in futuro, potessero ancora perpetrarsi crimini e brutalità contro gli esseri umani – indistintamente e ovunque fossero – indusse le neonate Nazioni Unite ad intraprendere un’iniziativa coraggiosa ed illuminata.
L’Assemblea Generale istituì dunque la Commissione per i diritti umani (CHR), affidandole il compito di redigere una dichiarazione internazionale che affermasse, in maniera solida e perentoria, l’universalità dei valori della libertà e della dignità di tutti gli esseri umani e ne disponesse la necessaria tutela.
Alla sua guida c’era dall'allora First Lady Eleanor Roosevelt.
Il processo di elaborazione di quella Dichiarazione coinvolse rappresentanti di diversi Paesi e organizzazioni e li impegnò per circa due anni: tra il 1947 e il 1948 si susseguirono otto sessioni, nel corso delle quali furono presentate e discusse diverse bozze, giacché i vari Paesi partecipanti avevano visioni divergenti su quali diritti dovessero considerarsi inerenti agli esseri umani.
Il 10 dicembre 1948 il documento vide finalmente la luce; dei 58 Paesi che in quel momento formavano l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 48 votarono a favore, 2 non parteciparono al voto, 8 si astennero. Nessuno votò contro.
Tra gli astenuti c’erano – neanche a dirlo – il Sudafrica, dove ancora radicato era il sistema dell'apartheid; l'Unione Sovietica, dove la libertà d’espressione (in tutte le sue forme: di parola, di riunione, di associazione e stampa) e quella di culto erano fortemente compresse; e l’Arabia Saudita, giacché solo una parte del mondo arabo musulmano ammetteva la possibilità di un dialogo tra l’Islam e le altre culture e, dunque, il riconoscimento degli stessi valori.
Fu un lavoro lungo e complesso, dunque, che tuttavia approdò al risultato sperato: porre le basi del riconoscimento dei diritti umani su cui basare l’elaborazione delle Costituzioni degli Stati e di ogni altro trattato e convenzione internazionale, da allora in avanti.
Nei suoi 30 articoli la Dichiarazione declinò infatti i più importanti principi su cui si fonda la tutela dei diritti di tutta l’umanità: la vita, l’uguaglianza, la giustizia, l’indipendenza, la libertà (che è sia quella individuale - di pensiero, di opinione, di fede religiosa e di coscienza, di parola e di associazione - che quella economica, ossia la libertà dalla povertà e dalla miseria).
Sono trascorsi da allora esattamente 75 anni; oggi sono più di 190 i Paesi che vi hanno aderito e molti hanno ratificato trattati giuridicamente vincolanti basati sui principi di quel documento. E, sebbene non manchino tuttora critiche da parte di quanti ne mettono in dubbio la legittimità - dal momento che la sua redazione è stata opera solo di una minoranza di Stati in un periodo in cui molti popoli erano ancora soggetti al colonialismo - la Dichiarazione dei Diritti Umani resta, come recita il suo preambolo, “il pilastro ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.”
Eppure, significativamente - quasi a voler marcare la necessità di ricondurre il cammino della civiltà su un percorso da cui ci si è ripetutamente discostati - questo importante anniversario cade in un momento storico in cui si registrano livelli record di guerre, minacce ambientali catastrofiche, ingenti fughe di popoli da miseria e povertà, razzismo e anacronistiche discriminazioni di genere.
Il potere che scavalca i diritti; la prepotenza che umilia la dignità; il contesto che prevale sui principi.
Molti dei diritti fondamentali racchiusi in quel prezioso documento sono violati sistematicamente in più parti del pianeta; la pretesa emancipazione di Stati che si professano evoluti ed altamente civilizzati è sconfessata da atteggiamenti e politiche che vanno in tutt’altra direzione.
Ed ecco allora l’urgenza di ripartire proprio da qui, di procedere dalla riaffermazione di quei diritti, di quelle libertà e di quei principi che c’è voluta la consapevolezza scaturita da innumerevoli morti, da un Olocausto e da una bomba atomica a far si che divenissero le condizioni per indirizzare l’azione futura di tutti gli Stati della terra.
È la prima affermazione contenuta nel preambolo della Dichiarazione: “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
Da questa premessa, da allora a sempre, dovrebbe discendere tutto il resto.