24 settembre 2021

Nuova Iva: l’Unione europea concede solo altri due mesi all’Italia

L’Unione europea concede un ultimatum all’Italia: due mesi per terminare l’iter di recepimento della Direttiva Ue 2018/1910.

In primis, si chiarisce che la Direttiva (UE) 2018/1910 del Consiglio, del 4 dicembre 2018, modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema d’imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati membri. L’adozione e la pubblicazione delle disposizioni nazionali avrebbero dovuto esser note già nell’ultimo mese del 2019, ma così non è stato per l’Italia, la quale, ad oggi, non ha ancora terminato l’Iter di recepimento.

I tempi lunghi della nostra nazione non sono stati ben accetti dall’Unione che nel contempo ha avviato una procedura di infrazione (2020/0070) nei confronti dell’Ordinamento italiano con ulteriore invio di un parere motivato specificando che qualora l’iter non venga completato entro i prossimi due mesi il caso potrebbe esser sottoposto alla Corte di giustizia Ue.

La buona notizia è che il Governo italiano non sembra esser distante dal risultato finale. La riforma, infatti, dovrà adeguarsi alle disposizioni europee in merito al call-off stock, alle operazioni a catena e al numero di identificazione Iva. Secondo quanto riportato nel documento europeo, l’obiettivo è il miglioramento del funzionamento del regime dell’Iva nel contesto degli scambi transfrontalieri tra imprese (B2B). Tale obiettivo non può esser conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri a motivo della sua portata e dei suoi effetti, ma può esser conseguito meglio a livello di Unione europea. Pertanto, è essenziale la stretta collaborazione di ogni Stato.

La direttiva – In particolare, il call-off stock si riferisce alla situazione in cui, al momento del trasporto di beni verso un altro Stato membro, il cedente conosce già l’identità dell’acquirente al quale tali beni saranno ceduti in una fase successiva e dopo il loro arrivo nello Stato membro di destinazione. Attualmente questa situazione dà luogo a una cessione presunta (nello Stato membro di partenza dei beni) e a un acquisto intracomunitario presunto (nello Stato membro di arrivo dei beni), seguiti da una cessione “interna” nello Stato membro di arrivo, per la quale il cedente deve essere identificato ai fini Iva in tale Stato membro. Per evitare che ciò accada, tali operazioni - quando hanno luogo tra due soggetti passivi - dovrebbero essere considerate, a determinate condizioni, una cessione esente nello Stato membro di partenza e un acquisto intracomunitario nello Stato membro di arrivo.

Le operazioni a catena si riferiscono a cessioni successive di beni che sono oggetto di un unico trasporto intracomunitario. La circolazione intracomunitaria dei beni dovrebbe esser imputata a una sola delle cessioni e solo detta cessione dovrebbe beneficiare dell’esenzione dell’Iva prevista per le cessioni intracomunitarie. Le altre cessioni nella catena dovrebbero essere soggette a imposizione e potrebbero necessitare dell’identificazione IVA al cedente nello Stato membro di cessione. Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, è opportuno stabilire una norma comune secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni dovrebbe essere imputato a una sola cessione all’interno della catena di operazioni.

Per quanto riguarda il numero di identificazione Iva in relazione all’esenzione per le cessioni di beni nell’ambito di scambi intracomunitari, gli Stati membri dovrebbero garantire che, qualora il cedente non rispetti i suoi obblighi di inserimento nell’elenco VIES, l’esenzione non si applichi, salvo quando il cedente agisce il buona fede.
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