29 gennaio 2022
29 gennaio 2022

Ode alla lettura

Autore: Ester Annetta
“Niente come la lettura di un libro, nell'apparente quiete e nel silenzio, può dischiudere in modo imprevedibile la vista di nuovi orizzonti di vita” (Tullio De Mauro)

E’ da questa affermazione – dall’inconfondibile valore di verità – di uno dei linguisti più illustri nel nostro panorama culturale che principia una riflessione su uno degli aspetti più evidenti di quella drammatica “povertà” educativa di cui si accusano oggi le nuove generazioni.

Va anzitutto premesso che la “povertà educativa” qui intesa non è quella di matrice economica, alla cui stregua viene giudicata la diseguaglianza di condizioni che impedisce ai bambini e ragazzi provenienti da strati sociali afflitti da pesanti disagi economici di accedere e godere dei livelli essenziali di istruzione, determinandone, di fatto, l’emarginazione sociale; il riferimento è, piuttosto, alla sua valenza contenutistica, laddove cioè, pur in presenza di sufficienti capacità sia cognitive che economiche, gli apprendimenti e le conoscenze sono di fatto impediti o fortemente limitati da scarso interesse e applicazione variamente motivati.

Vengono, allora, a considerarsi due fattori ai quali – secondo la mia visione di “addetta ai lavori” – sono perlopiù riconducibili le distorsioni che causano il decremento culturale che fa capo alle nuove generazioni.

In primo luogo, responsabile della tendenza all’annacquamento dei contenuti didattici è il profluvio di certificazioni che, con sempre maggiore frequenza, nelle scuole italiane, attestano disturbi d’apprendimento perlopiù non corrispondenti a situazioni di reale gravità, ma tali tuttavia da consentire l’accesso a condoni performanti grazie ai quali i contenuti degli apprendimenti vengono ridotti se non addirittura drasticamente spolpati.
Ne consegue quella che, con formula efficace, potrebbe definirsi una sorta di “didattica dell’evitamento” che produce, di primo acchito, lo snellimento della fatica richiesta agli studenti rispetto all’impegno obiettivamente necessario, autorizzato da una sorta di “patente esentante” fatta di meccanismi dispensativi e compensativi talvolta eccessivi; di rimando, la rischiosa acquisizione della consapevolezza della facilitazione come strumento standard, senza alcuna considerazione per l’effetto destabilizzante che “l’abitudine all’alleggerimento” concesso ai ragazzi potrebbe avere nel loro futuro piuttosto imminente, quando, in contesti d’altra realtà, si troveranno a scontrarsi con l’effettivo peso delle situazioni.

In secondo luogo – ed è qui che torna il senso della citazione indicata in apertura – c’è un pressoché totale disinteresse (ed un conseguente disimpegno) per la lettura come strumento per ampliare le proprie conoscenze ma, prima ancora, come palestra dell’intelletto.
Negli ultimi vent’anni l’innovazione tecnologica con tutti i suoi strumenti (pc, tablet, smartphone) ha letteralmente fagocitato i giovani, somministrando loro in maniera passiva contenuti immediati che spesso non richiedono alcuna rielaborazione.
Di fatto essi si sono sovrapposti, sostituendoli, a strumenti “analogici” (volendosi per tali intendere libri, giornali, riviste) considerati ormai desueti, immolati alla ricetta del “pronto e subito” che solleva da tutto quell’impegno di riflessione, selezione, rielaborazione da questi richiesto.
Il tutto a danno della capacità di pensare, immaginare, capire e, soprattutto, di emozionarsi, che è quanto di più umano ci sia.

Ne consegue che ciò che oggi maggiormente si evidenzia tra i ragazzi sono fenomeni di disfunzionalità linguistica, deficit di attenzione e di concentrazione, difficoltà di memoria a lungo termine, assenza di approccio dinamico agli apprendimenti.
L’apparire prevale sull’essere: le immagini di “falsi sé” immortalati in foto e selfie e immediatamente postati sui social denotano l’esigenza di fornire (e, per contro, ricevere o perfino subire) rappresentazioni immediate e compulsive di sfondi e situazioni fugaci e non veritiere, su cui nemmeno per scommessa ci si ferma per riflettere o per valutare.
Col rischio, non improbabile, dello sconfinamento in preoccupanti e pericolose distorsioni.

E, ancora e più mostruosamente, la comunicazione – intesa come esigenza esasperata di immergersi in quel mondo liquido fatto di scambi frenetici in cui a prevalere è sempre la quantità piuttosto che la qualità e la veridicità – finisce per avere la meglio sull’informazione; l’induzione di modelli e schemi mutuati dal web, dai video e dai social plagiano abitudini e condotte anche mentali, traducendosi in vere e proprie forme di manipolazione che poco spazio lasciano all’analisi ed all’elaborazione spontanea dei messaggi veicolati.

A soccombere sono allora tutte quelle condizioni che richiedono come prerequisito l’intelletto attivo: la consapevolezza, la comprensione, l’empatia, la creatività, l’identità.

Ecco che allora la lettura torna ad essere il rimedio, la palestra in cui alla mente è possibile allenarsi per riconquistare immaginazione ed emozioni, per affinare l’espressione linguistica e per potenziare la formazione di quel “sentire” che consente di porsi in reale contatto ed armonia con gli altri e che interpella la propria umanità, sollecitandola ed amplificandola.

Diventa perciò indispensabile riavvicinare i giovani alla lettura, affinché si riapproprino della parola, della capacità di esprimersi correttamente abbandonando il linguaggio mortificato che dilaga sui social, dell’ampiezza espressiva che gli algoritmi del digitale tendono invece a comprimere, della vitalità dei testi, capaci di assumere toni ed intensioni diversi a seconda dell’immaginazione e dell’interpretazione di chi li scrive e di chi li legge.

I libri, la letteratura, la narrazione sono finestre attraverso cui si possono vedere gli altri e se stessi, compiendo percorsi di riflessione e maturazione in cui alla parola è affidato il superbo compito di significare.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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