Quando la sfera personale e quella professionale si confondono o si sovrappongono, le conseguenze possono talvolta essere davvero abnormi.
Lo sa bene (ed è cronaca di questi giorni) un insegnante di una scuola superiore della periferia Est di Milano che, dopo un iter giudiziario durato ben sei anni, ha visto definitivamente confermare il provvedimento disciplinare del Ministero dell’Istruzione (allora nella sua versione MIUR, ossia dell’Istruzione, Università e Ricerca) che – nel 2018 - ne aveva disposto la destituzione e l’esclusione dall’accesso futuro a qualsiasi forma di pubblico impiego.
Alla base di quel provvedimento c’era stata la relazione sentimentale e sessuale che il docente aveva intrattenuto – tra il 2016 e il 2017 – con un’alunna allora minorenne, divenuta maggiorenne poco dopo.
Trattandosi di una relazione con una ragazza ultrasedicenne e consenziente, non si erano configurati, ai sensi dell’art. 606 quater c.p., gli estremi del reato di violenza sessuale (art. 606 bis). Tuttavia il provvedimento destitutivo aveva seguito una diversa via, del tutto indipendente rispetto a quella che era bastata ad impedire la sussistenza di una fattispecie penale.
Difatti, non era stata ritenuta un’argomentazione sufficiente a impedire il drastico licenziamento del meschino professore la circostanza che la madre della ragazza fosse a conoscenza della relazione né che essa fosse “scaturita da un iniziale interessamento” della studentessa e che quest’ultima fosse consenziente e ricambiasse i sentimenti del docente.
In tal senso si erano difatti già determinati sia il Tribunale di Milano in primo grado che la Corte d’Appello della stessa sede, respingendo conseguentemente il ricorso presentato dall’insegnante avverso il provvedimento del MIUR.
Lo stesso ha ora ritenuto di dover fare la Cassazione (con la sentenza n. 30955/22) non ammettendo le doglianze formulate dal docente avverso la pronuncia d’appello, fondate sui seguenti motivi: l'aver la Corte ritenuto congrua la sanzione della destituzione senza aver tenuto conto di altre circostanze quali l’assenza di ulteriori e precedenti addebiti disciplinari, il comportamento tenuto dal docente anche nella fase procedimentale; l’assenza di abuso di autorità; il non aver tenuto conto della prova a discarico, richiesta nei primi due gradi di giudizio e non ammessa; l’omessa concreta indicazione delle ragioni per le quali la Corte ha ritenuto il professore non più idoneo non solo all'insegnamento ma anche all’esercizio di una funzione diversa da quella di docente, alternativa invece espressamente prevista dall’art. 496 D.lgs. n. 297/1994 (Testo Unico in materia di Istruzione scolastica); il rilievo che solo con la contrattazione collettiva dell’aprile 2018 (quindi successiva ai fatti di causa) è stata prevista la destituzione in caso di atti e comportamenti o molestie a carattere sessuale riguardanti gli studenti affidati alla vigilanza del personale, anche in mancanza di gravità o reiterazione.
La Cassazione, nel ritenere del tutto infondati gli indicati motivi, ha nuovamente posto l’accento – come già aveva fatto la Corte d’Appello nella propria decisione – sulla gravità e sul disvalore della condotta del docente, considerando “da un lato, il ruolo di responsabilità e la funzione educativa assegnati al docente e, dall'altro, il fatto che gli studenti a lui affidati attraversavano un'età obiettivamente critica sotto il profilo dello sviluppo della personalità e delle modalità di interazione sociale".
In sostanza gli Ermellini hanno ritenuto che il comportamento del docente è stato una grave violazione dei doveri inerenti alla sua funzione di educatore ed hanno perciò ritenuto corretta la valutazione dei giudici della Corte d’Appello secondo cui: “il docente è tenuto a relazionarsi agli studenti con la maturità di un soggetto adulto ed a svolgere un fondamentale ruolo educativo. Instaurare una relazione sentimentale e sessuale con un’alunna - tanto più se minorenne - significava venir meno in modo radicale ai doveri e alle responsabilità insiti nel ruolo e disvelava la totale incapacità di discernere la sfera professionale da quella personale e la sfera etica da quella sentimentale, giungendo il docente a uniformarsi nei comportamenti a un coetaneo dei propri allievi”.
Da che mondo è mondo le alunne (più che gli alunni) subiscono il fascino dei loro insegnanti, che il più delle volte prescinde dall’aspetto fisico (quello continua ad essere un requisito richiesto ai coetanei!) per basarsi essenzialmente sulle capacità dialettiche, sulla cultura, sulla passione con cui l’insegnamento della materia viene introdotto, sul modo chiaro ed affabile di parlare e di spiegare.
Ciò non toglie che prudenza, ma soprattutto raziocinio, impongono all’insegnante di non assecondare i segnali (a volte, peraltro, anche abbastanza espliciti e sfacciati) inviati dalle discepole, ricordando soprattutto che, come la maggior parte delle emozioni provate a quell’età, anche i loro sentimenti viaggiano su binari velocissimi e cangianti, dove le percezioni si amplificano e si distorcono e, perlopiù, sono destinate ad una durata effimera.
Bisognerebbe perciò non trascurare che la presenza, in un’aula, di banchi e cattedra indica che spettano posti diversi per ruoli diversi. Sempre e comunque.
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