La presentazione anticipata del Disegno di Legge di bilancio per il 2025 riflette la pressione crescente che l’Europa sta esercitando sui governi nazionali a causa dell’attuale contesto geopolitico. Le tensioni legate ai conflitti armati, come la guerra in Ucraina ed in Medioriente, e l’instabilità politica generale, spingono l’Unione Europea a richiedere maggiore rapidità e coordinamento nelle risposte economiche e finanziarie.
In un clima di incertezza e crisi, è diventato cruciale per i governi nazionali affrontare tempestivamente le questioni legate alla sicurezza, all’energia e alla stabilità economica soprattutto in tema pensionistico.
Proprio sul tema pensionistico ci si aspettava per quest’anno una vera e propria riforma all’interno della Finanziaria 2025, ma con non poca delusione, sono stati pianificati solo una serie di interventi dal fare del tutto confirmatorio, e volendo porre la lente d’ingrandimento su questo tema, possiamo tranquillamente affermare che lo stesso si presenta come tema che potremmo definire caldo, con il rischio che continui ad esserlo quest’autunno che precede non solo l’inverno, ma soprattutto, la stagione dell’approvazione della legge di bilancio 2025.
Ma quali sono le novità del cosiddetto “pacchetto pensionistico” che difatti non ha stravolto schemi già ampiamente criticati lo scorso autunno?
Continua ad esservi Quota 103, nata da un esperimento che il governo ha inteso riconfermare nel disegno di legge di bilancio 2025; introdotta dalla legge di bilancio 2023 L. 197/2022, permette ai lavoratori di conseguire il diritto alla pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Vale la pena ricordare che la pensione anticipata non può superare quattro volte l’importo del trattamento minimo e non può essere cumulata con redditi da lavoro autonomo occasionale superiori a 5 mila euro.
Rimane invariata Opzione Donna, ma con un “depotenziamento” rispetto alla sua versione “beta”, con un innalzamento da 58 a 61 anni di età e con l’imprescindibile requisito dei 35 anni di contributi effettivamente versati. La stessa rimane però, un’opzione effettiva di categorie di lavoratrici “deboli”, come caregiver, disoccupate ed invalide civili con lo scopo piuttosto intuibile di ridurre la platea dei beneficiari e risparmiare risorse economiche utili a coprire altri punti della riforma, un po’ come se fosse una coperta ancora, purtroppo, troppo corta.
L’anticipo pensionistico definito Ape Sociale già introdotto nel lontano 2016 offre un’indennità a carico dello Stato per caregiver e lavoratori addetti a mansioni gravose. Lo stesso verrà aumentato in maniera progressiva; 20 milioni per il 2025, 30 milioni per il 2026, 50 milioni per il 2027.
Ma chi può accedere a questa misura?
Occorre avere 63 anni e 5 mesi e 30 di contributi (36 per attività gravose, diminuiti a 32 per alcune categorie). L’indennità è pari alla pensione maturata con un massimo di 1.500 euro.
Rivalutazione delle pensioni - Le pensioni verranno rivalutate e rese conformi all’inflazione, la quale si è resa responsabile di un’importante riduzione del potere d’acquisto soprattutto all’interno di questo contesto europeo caratterizzato dall’instabilità geopolitica. Nel 2025, il meccanismo tornerà ad essere vantaggioso ma solo per determinate categorie di pensionati. L’indicizzazione tornerà ad essere effettuata secondo uno schema precedente al 2024, saranno organizzate tre fasce di reddito:
- 100% per i trattamenti fino a 4 volte il trattamento minimo;
- 90% per quelli fino a 5 volte il minimo;
- 75% per quelli superiori a 6 volte il minimo.
Rinforzare la previdenza integrativa è uno degli obiettivi del governo e intende perseguirlo mediante la Devoluzione su fondo pensione privato in caso di “silenzio assenso”. Nel caso in cui il lavoratore non abbia espresso il suo più totale dissenso in maniera manifesta il Tfr confluisce automaticamente nel fondo pensione previsto nel C.c.n.l., e nel caso in cui esistano diversi fondi, la scelta ricade su quello con più “adesioni” da parte di dipendenti ed in mancanza anche di questo il T.f.r. viene versato al fondo residuale individuato dalla normativa.
Permane il Bonus Maroni al fine di favorire la permanenza a lavoro dopo aver raggiunto i requisiti per la pensione (62 anni di età e 41 anni di contributi); in tal caso sarà possibile chiedere al datore di lavoro di trasformare in stipendio la quota di contributi a loro carico per una percentuale del 9,19 della retribuzione. Un incentivo che potrebbe essere esteso anche a coloro che nel pubblico impiego decidessero di restare fino a 70 anni.
Vedremo come reagirà la nostra economia alla luce dell’attuale contesto Europeo e che impatto avranno queste novità sul futuro del nostro welfare.