Dal PNRR i fondi per le regioni meridionali ammontano a 82 miliardi, pari cioè al 40% delle risorse allocabili territorialmente. Fondi ingenti nella direzione di attenuare i divari storici tra il Centro-Nord e il Sud, per una trasformazione che possa essere trasversale a tutti i campi: dalle infrastrutture fisiche a quelle digitali, nell’ecologia e nei servizi pubblici. Il nodo cruciale rimane però nell’attuazione poi delle iniziative, una volta erogati i fondi, le riforme strutturali, in particolare quella della Pubblica Amministrazione, possono sostenere la realizzazione degli interventi previsti, con ripercussioni positive sulla produttività e sullo sviluppo del Meridione.
Investimenti massicci - Un’inversione di rotta sostanziale, dopo la tendenza che tra il 2008 e il 2018 ha visto scendere la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno da 21 miliardi a poco più di 10. Una disposizione di risorse che potrebbe davvero creare terreno fertile per una svolta nel Mezzogiorno, se paragonata alla popolazione residente, il 34% di quella italiana, o al contributo al PIL nazionale, pari invece al 22%. Oltre ai finanziamenti del PNRR poi, al Sud saranno destinati anche 8,4 miliardi provenienti dal React‑EU, 54 miliardi dei Fondi strutturali e di investimento europei, 58 miliardi del Fondo per lo Sviluppo e la e circa un miliardo del Just Transition Fund. A fronte di una mole tanto imponente di fondi, la domanda chiave rimane se ci sarà la capacità di spenderli razionalmente e di realizzare le opere, anche considerati i dati che indicano, al sud, i tassi più elevati di inutilizzo dei fondi europei assegnati e di opere incompiute.
I rischi e i vantaggi - Fondamentale è altrettanto tenere a mente che si tratta di una risposta emergenziale a una situazione di crisi, con tanti risvolti positivi quanti fattori di rischio. Si tratta anzitutto di un tentativo ben strutturato di fare un programma di politica industriale, con uno slancio verso futuro e sostenibilità, che mancava all’Europa e che in Italia stiamo cercando di cogliere, con il 65% sul totale delle risorse destinate a innovazione, digitalizzazione e transizione verde. I tre grandi cantieri su cui lavorare, Sud, giovani e donne, segnano un possibile punto di svolta nel panorama italiano, rimettendoli al centro di programmazione e di una politica di coesione. Con questi il Sud coglie una grande sfida per il Piano, in cui inglobare tutti gli altri punti da aggredire con interventi e realizzazioni. Iniziando anzitutto a intervenire sulla produttività, trasformando in Pil il lavoro. Le stime preliminari portano a prevedere un incremento tra l’1,3% e l’1,6% considerando solo gli investimenti stimabili, senza valutare, dunque, tutti i fattori esterni subentrati in questi mesi, come la guerra o prima ancora la pandemia. Il PNRR rappresenta quindi un’opportunità unica e nuova, ma che da sola non può bastare: è necessario iniziare a pensare in un’ottica che riesca a guardare al valore dietro ogni progetto, non frammentaria, in una strategia territoriale ampia. Il Sud ha prospettive di crescita in un quadro in cui è tutto il Paese a crescere: come dimostra la storia, la convergenza si presenta nel momento in cui lo sviluppo è diffuso, assottigliando le differenze tra le regioni. C’è più che mai, oggi in Italia, una necessità di programmazione, guardando oltre al 2026, investendo così su progetti che creino opportunità a lungo termine.
Nuove frontiere nel Mediterraneo - Specialmente in un momento storico come questo, in cui le nuove visuali aprono a un ruolo da protagonista del Mezzogiorno d’Italia nel panorama del Mediterraneo. Un’area destinata a ritrovare centralità nello sviluppo internazionale, tra il raddoppio del canale di Suez e la crescita delle economie asiatiche. Con la possibilità per il Sud di diventare la piattaforma produttiva, logistica e politica dell’Europa del Mediterraneo. A patto che la ripresa delle infrastrutture sia sostenuta e coltivata con investimenti e innovazione.