Nel corso della pandemia abbiamo sentito spesso la domanda: i danni da COVID-19, mortali o lesioni permanenti, possono essere considerati infortunio?
L’articolo 42, comma 2, del cosiddetto “Decreto Cura Italia” (
DL n. 18 del 17/03/2020), convertito poi con modificazioni dalla legge n. 27 del 24/04/2020, definisce il riconoscimento della tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro.
In via preliminare si precisa che secondo i principi che regolano l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e, quindi, secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela queste affezioni morbose inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro, attraverso una equiparazione della causa virulenta a quella violenta. I contagi da coronavirus non fanno eccezione a tale regola e sono, pertanto, da ricondurre a tutti gli effetti nell’ambito degli infortuni sul lavoro.
Nell’ambito delle assicurazioni private però, il tema si fa un po’ più complesso. La qualifica del COVID trae origine da un orientamento giurisprudenziale piuttosto consolidato, ma datato, proprio sulle affezioni morbose di natura virulenta in ambito lavoristico. Non si è mai esplicitamente ritenuto in passato che una polizza privata potesse paragonare una malattia virale, come ad esempio l’influenza, ad un infortunio.
La Cassazione a Sezioni unite, con la sentenza n. 5119/2002, stabilisce che l’assicurazione privata contro gli infortuni è un contratto socialmente tipico che copre «gli eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna che provocano lesioni corporali oggettivamente constatabili e che abbiano come conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea». Definizione che deriva da un’idea primitiva ed elementare, la quale richiama una causa sostanzialmente traumatica ed improvvisa, piuttosto distante dal concetto di malattia, cui si riconducono i casi di coronavirus.
Pertanto, nel mondo delle polizze private della salute, il Covid-19 dovrebbe esser più facilmente assimilato ad una malattia che non ad un infortunio. Il Decreto Cura Italia ha spinto molti assicurati a ritenere che l’equiparazione normativa del Covid ad un infortunio esprima di fatto una regola generale, da applicare anche al settore delle polizze private.
Ma tale convinzione è corretta?
La risposta arriva da una recentissima pronuncia del Tribunale di Pesaro, che con l’ordinanza dell’11 giugno 2021 evidenzia in modo chiaro che «nel comune sentire sociale il Covid-19 è considerato una malattia e non invece un infortunio». Secondo l’ordinanza, poi, «l’articolo 42 del decreto Cura Italia, che ha previsto in ambito Inail l’equiparazione dell’infezione da Covid-19 all’infortunio, non potrà in alcun modo estendersi al comparto assicurativo privatistico trattandosi di norma pacificamente rivolta al solo ambito lavoristico e rispondente a specifiche finalità sociali e mutualistiche».
Nel caso specifico, peraltro, il Covid all’epoca della stipula della polizza non era nemmeno conosciuto. Questo ci porta a ritenere che per le polizze infortuni di nuova generazione, quindi successive all’inizio della crisi pandemica, l’indagine interpretativa sul perimetro di applicazione della garanzia, in assenza di esplicite esclusioni, potrebbe dar luogo a esiti diversi, tenuto conto anche delle esigenze di copertura del rischio pandemico eventualmente dichiarate dall’assicurato in sede di stipula della polizza.