Sarà probabilmente capitato a tutti di far appello al noto proverbio che mette in guardia dall’impicciarsi negli affari di famiglia, le volte che qualcuno, travestendo da buon consiglio la propria ingerenza nelle questioni coniugali altrui, abbia rasentato l’invadenza.
Più che mai sarà capitato se quel qualcuno sia stato una suocera, per via di quel luogo comune tipico della tradizione italica che vuole le madri delle mogli (quasi sempre) o dei mariti (un po’ meno) colpevoli di voler mantenere un ruolo di “autorità” giudicante e controllante dell’operato del genero o della nuora.
Ed a tanto certamente viene da pensare nel leggere quanto deciso dal Tribunale di Teramo con la sentenza n. 1052 del 26 novembre 2021 che, pur avendo posto l’accento su un diverso aspetto (un episodio di violenza fisica del marito ai danni della moglie) ha tuttavia considerato anche l’invadenza della suocera tra i motivi atti alla pronuncia della separazione con addebito.
La vicenda è quella di una donna che, dopo circa vent’anni di matrimonio e la nascita di cinque figli, si rivolge al Tribunale per ottenere la pronuncia di separazione personale con addebito al marito per violazione dei doveri coniugali di assistenza morale e per lesione della propria integrità fisica.
La donna lamenta che la vita matrimoniale, negli ultimi tre anni, è stata caratterizzata dall'assenza morale e dal disinteresse affettivo e sessuale del coniuge, nonché da continue vessazioni psicologiche poste in essere da quest'ultimo di concerto con la sua famiglia d'origine, culminate nel grave episodio di violenza che aveva irreversibilmente compromesso il matrimonio, allorquando il marito l'aveva picchiata in presenza del primogenito, intervenuto a sua difesa.
Da sempre esclusa dalla vita lavorativa del marito e ostacolata nello svolgimento di una sua attività esterna all'ambiente domestico, la donna lamenta di essersi occupata a tempo pieno dei cinque figli, contribuendo alla crescita professionale ed economica del marito (un facoltoso imprenditore), facendo inoltre presente di aver sempre subito la presenza autoritaria e invadente della suocera, che l'ha sempre trattata come un ospite della sua villa, concessa in comodato al figlio ed alla sua famiglia.
Chiede pertanto l'assegnazione della casa coniugale (di proprietà della suocera), l'affidamento condiviso dei figli con collocazione prevalente presso di sé, un assegno mensile per i cinque figli di 8.000 euro complessivi e di 20.000 per il proprio mantenimento.
Il Presidente del Tribunale, sentiti i coniugi, assegna la casa alla moglie, dispone l'affidamento congiunto dei figli con collocazione presso la madre e pone a carico del marito l'obbligo di corrispondere l'importo mensile di 1500 euro per i figli e di ulteriori 1500 euro per la moglie.
Tali statuizioni, a seguito del reclamo proposto dalla donna, vengono poi modificate dalla Corte di Appello di L'Aquila che determina l'assegno mensile per il mantenimento dei cinque figli in 5.000 euro e in 3.000 euro quello per il mantenimento della moglie.
Passato il procedimento alla fase contenziosa, l'assegno dovuto dall’uomo in favore dei figli viene ridotto a 500 euro per ciascuno e quello dovuto per il mantenimento della moglie ad Euro 1.500.
Sulla domanda d’addebito presentata dalla moglie, il Tribunale riscontra la fondatezza delle prove relative al grave episodio di violenza fisica denunciato dalla stessa e lo ritiene da solo sufficiente a fondare la responsabilità della crisi coniugale in capo al coniuge che ne è stato l'autore. Inoltre evidenzia “che la continua ingerenza della suocera - proprietaria della lussuosa villa coniugale - nel ménage famigliare e soprattutto nell'educazione dei figli è circostanza pacificamente acclarata attraverso le dichiarazioni testimoniali rese da alcune delle numerose "tate" che a tempo pieno hanno collaborato nella gestione della prole”.
Pertanto il Tribunale ritiene che “l'accertata condotta di violenza fisica in danno della moglie si risolve - a parte ogni considerazione sulla prevaricazione morale del marito, in ciò sostenuto dalla forte presenza dei componenti della sua famiglia di origine - in una violazione talmente grave degli obblighi nascenti dal matrimonio, da giustificare, di per sé, la pronuncia di addebito della separazione.” Ciò anche sulla scorta di una precedente pronuncia della Cassazione (Cass. 7388/2017) secondo cui: "Le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole - quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse -, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale".
Dalla valutazione comparativa delle rispettive situazioni dei coniugi il Tribunale dispone quindi l'assegnazione della casa coniugale alla moglie, rilevando che il contratto di comodato in precedenza insorto tra la madre proprietaria della villa e il figlio abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Pertanto “ha una durata determinabile "per relationem", con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari.”
Conferma il mantenimento di 5000 euro al mese per i figli, a cui sommare le spese straordinarie, a totale carico del padre e dispone a favore della moglie un assegno mensile di 3000 euro, alla luce del suo stato di disoccupazione e della sua età (47 anni), a conferma di quanto deciso in sede di appello, dopo il reclamo della donna contro le decisioni del Presidente.