In effetti dev’essere stato curioso, scoprire all’improvviso in un giorno di quasi estate che la maggior parte delle richieste di manodopera straniera provenisse da regioni come la Campania, dove il lavoro latita e le imprese anche. Un po’ come organizzare un raduno di Suv nel giardino di Greta Thunberg, per dire.
Ed era altrettanto curioso, proseguendo sulla stessa falsariga, che a fronte di migliaia di ingressi, nessuno nella realtà fosse pronto ad assumere migliaia di migranti entrati regolarmente in Italia, di fatto costretti a scendere a patti con un destino che a loro non ha davvero fatto sconti.
A sentire la puzza di bruciato è stata la premier Giorgia Meloni, che dopo aver scoperto le anomalie dei due più recenti “click day” (dicembre 2023 e marzo 2024), ha presentato un esposto alla Procura Antimafia, annunciando anche diverse modifiche per scongiurare che l’unico canale disponibile per gli ingressi regolari di lavoratori extracomunitari finisca per alimentare il numero degli irregolari presenti nel nostro Paese.
In pratica, su sollecitazione di aziende e imprese alla disperata ricerca di manodopera, il Governo aveva deciso di ampliare il decreto flussi portando a 452mila le quote di ingressi spalmate nel triennio 2023-2025. Lo scorso anno, a fronte di 136mila posti disponibili, sono arrivate 609mila domande, una magia che si è ripetuta anche quest’anno con 151mila ingressi previsti, ma letteralmente travolti da 702mila richieste. Da qui, la netta sensazione che il “click day” fosse in realtà una tragica lotteria dove in palio non c’è una macchina, una lavastoviglie o un abbonamento a teatro, ma il destino di migliaia di disperati in cerca di un futuro migliore.
Poi però gli sportelli si chiudono e arrivano i dati, in questo caso messi nero su bianco dal Ministero dell’Interno, e la puzza di bruciato inizia a farsi molto più intensa.
La stragrande maggioranza delle richieste – vedi il caso, alle volte - arrivava come accennato qualche riga fa da regioni italiane dove è risaputo che il lavoro non è facile e tantomeno scontato, e le aziende non fanno esattamente a pugni per essere presenti. Dalla Campania, malgrado le cifre più recenti parlino di quasi due milioni di disoccupati, nel 2023 sono arrivate 298mila domande sullo tsunami complessivo di 609mila, e di queste ben 198mila localizzate nella provincia di Napoli. Da Milano, dove sicuramente trovare un lavoro è meno problematico e il tessuto imprenditoriale brulica & fluidifica, sono partire appena 24mila richieste.
Il copione si è ripetuto più o meno uguale lo scorso marzo, con il click day per assegnare i flussi migratori del 2024. Su 600mila domande presentate, il 32,8% arrivava dalla Campania, Napoli e provincia in particolare, così affamata di manodopera straniera da non avere rivali in Italia.
Ma per capire dove il meccanismo crea l’attrito bisogna iniziare da un’occhiata al libretto di istruzioni del decreto flussi. I click day, l’inizio della speranza per molti, sono solo il primo scoglio da superare prima di essere accolti (si fa per dire) in Italia e di conseguenza in Europa. Seguito a ruota dal nulla osta al lavoro e dal visto di ingresso, per arrivare all’ultima casella del tabellone, quella del contratto di soggiorno che dev’essere ovviamente richiesto da un datore di lavoro. In linea del tutto teorica, ad ognuno degli ingressi dovrebbe corrispondere un contratto, ma passando dalla teoria alla pratica la faccenda è tutt’altro che scontata. Anzi.
Lo dice senza troppi giri di parole un report della campagna “Ero Straniero”, voluta nel 2017 da organizzazioni laiche e religiose per concentrarsi sui flussi migratori. Dall’analisi dei dati forniti da diversi ministeri (Interno, Affari Esteri e Lavoro), una risicata percentuale pari al 24% degli ingressi lo scorso anno si è trasformata in un reale contratto di lavoro, a fronte di 82.705 extracomunitari ammessi in Italia. E anche andando indietro fino al 2022, la situazione non cambia: 35% di contratti su 69.700 richieste accolte.
In realtà, la burocrazia non si ferma al contratto, ma prosegue prima passando per lo sportello unico dell’immigrazione, per poi incamminarsi verso i consolati dei Paesi di provenienza. Ma perché questo accada serve un’altra dose di fortuna: molte pratiche finiscono nell’elenco degli oggetti smarriti, e quelle che passano devono rassegnarsi a tempi di attesa biblici che spesso superano i 120 giorni, quando la legge ne imporrebbe 20 e non uno di più.
Nella seconda ipotesi, i lavoratori extraUE entrano nel nostro Paese con nulla osta e visto, ma in compenso gli imprenditori che avevano fatto richiesta non li assumono o addirittura svaniscono nel nulla. Certo, a voler fare quelli precisi, capita che il lavoratore ritardi l’ingresso in Italia e il datore di lavoro sia stato costretto a coprire il posto vacante in altro modo, ma è un caso abbastanza raro. Il più delle volte, i lavoratori sono vittime di truffe e raggiri: sborsano migliaia di euro a qualcuno che presenti la domanda, senza nessuna garanzia che sia accolta e vada in porto, con il risultato di stringere fra le mani solo aria.
Per evitare che alle quote non corrisponda il contratto di soggiorno sarebbe sufficiente rilasciare un permesso di soggiorno in attesa di occupazione in tutti i casi in cui la procedura non vada a buon fine per motivi che non dipendono dal lavoratore. Secondo Ero straniero, uno strumento usato molto poco: per il 2022 sono stati rilasciati 146 permessi per attesa di occupazione, e appena 84 lo scorso anno.