La Risposta n. 138 dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 27 dicembre 2018, verte sull’attività di turismo rurale (ippoturismo) esercitata dall’imprenditore agricolo (applicabilità dell’articolo 56 bis, comma 3, del TUIR e 34 bis del D.P.R. n. 633/1972).
Il quesito – L’istante svolge in qualità di imprenditore agricolo coltivatore diretto, attività di coltivazione di piante da foraggio e di altri seminativi e, pertanto, applica il regime speciale IVA di cui all’articolo 34 del D.P.R. n. 633/1972.
Nel 2016, lo stesso, ha cessato (per perdita dei requisiti) l’attività di agriturismo che esercitava e ha iniziato l’attività di turismo rurale ai sensi dell’articolo 2, Legge Regionale Veneto n. 28/2012.
Tale attività, si concretizza nella prestazione di servizi di escursioni a cavallo (ippoturismo), mediante l’utilizzo di cavalli di proprietà ed è realizzata all’interno e all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’azienda ed è volta alla valorizzazione degli ambienti e dei paesaggi rurali circostanti. In virtù di tutto ciò, l’istante chiede se, detta attività, possa essere considerata, ai fini delle imposte dirette e indirette, connessa all’attività agricola principale.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate – Il Fisco, dopo aver ricordato il disposto dell’articolo 56 bis, comma 3, del TUIR, ha anche evidenziato che, secondo il successivo comma 4, il citato regime agevolato, risulterà inapplicabile all’imprenditore agricolo avente forma giuridica diversa da persone fisica, società semplice e ente non commerciale.
Ai fini IVA, l’articolo 34 bis del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che “per le attività dirette alla produzione di beni ed alla fornitura di servizi di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del Codice Civile, l’imposta sul valore aggiunto è determinata riducendo l’imposta relativa alle operazioni imponibili in misura pari al 50 per cento del suo ammontare, a titolo di detrazione forfettaria dell’imposta afferente agli acquisti ed alle importazioni”.
Secondo l’Agenzia, ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie, occorre partire dalla nozione di imprenditore agricolo che risulta dall’articolo 2135 del c.c., come modificato dall’articolo 1, comma 1, del D. Lgs. n. 228/2001.
L’articolo 2135 del c.c. infatti, dopo aver definito l’imprenditore agricolo come colui che “esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”, al terzo comma, inserisce tra le attività connesse anche “le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Le Entrate, nel parere, hanno evidenziato il requisito oggettivo e soggettivo stabilito dalla norma in commento per la qualificazione come “attività connesse” delle attività di fornitura servizi.
Inoltre, hanno ricordato quanto chiarito dalla Circolare n. 44/E del 2002, ossia che per la qualificazione come attività connesse delle attività di fornitura a terzi di beni o servizi è necessario verificare che tali attività siano svolte dal medesimo soggetto che svolge l’attività agricola principale e siano utilizzate “prevalentemente” attrezzature o risorse dell’azienda “normalmente” impiegate nell’attività agricola principale.
Tale documento di prassi, ha chiarito, altresì, che è da considerarsi “normale” l’impiego in via continuativa e sistematica di tali attrezzature nell’attività agricola principale.
In virtù di tutto quanto sopra richiamato, per poter rientrare fra le attività connesse, l’attività di fornitura di beni o servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve aver assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale.
Nel caso in esame, dagli elementi documentali forniti dall’istante (in particolare dalla visura del Registro delle imprese), si evince che l’attività principale esercitata è quella del turismo rurale, mentre, quella secondaria, è la coltivazione agricola. Le attrezzature e le risorse utilizzate per l’attività di turismo rurale sono diverse da quelle impiegate per la coltivazione del fondo.
L’Agenzia, quindi, ritiene che risulta non integrato il requisito della “prevalenza” e, pertanto, i redditi derivanti all’imprenditore agricolo dall’attività di ippoturismo concorreranno a formare il reddito d’impresa in base ai criteri ordinari.