20 marzo 2018

CANONI NON PERCEPITI. LA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA EVITA LA TASSAZIONE

Autore: Paola Mauro
È illegittima la pretesa riguardante il mancato assoggettamento a tassazione di canoni di locazione non percepiti dal locatore qualora il contratto preveda la clausola di risoluzione espressa per morosità. In tale ipotesi il contratto di affitto si risolve di diritto e le imposte da quel momento non sono dovute.

Si ricava dalla sentenza n. 469/16/18 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Il proprietario di due immobili locati a fini commerciali non ha riscosso i relativi canoni che pertanto non sono stati dichiarati. Tale omissione ha indotto l’Ufficio a procedere alla rettifica del reddito imponibile da 78.000 a 162.000 euro, somma quest’ultima scesa a 128.000 euro, a seguito di annullamento parziale in autotutela.

Ebbene, il contribuente/locatore ha proposto ricorso presso la C.T.P di Roma deducendo l’illegittimità della pretesa impositiva, trattandosi di contratti di locazione ad uso commerciale nei quali era stata inserita la clausola risolutiva espressa in caso di morosità, con la conseguenza che gli stessi si erano civilisticamente risolti nell’aprile e nel febbraio 2009 e pertanto da quel momento era venuto meno l’obbligo di dichiarare i canoni concordati come reddito tassabile.

La C.T.P. capitolina ha accolto il ricorso e ora la decisione è stata confermata dalla C.T.R. del Lazio.

I Giudici regionali scrivono: «L'appello proposto dall'Agenzia delle entrate è da ritenersi infondato e va quindi respinto per i motivi di seguito esposti. La presenza nei contratti della clausola risolutiva espressa comporta l'automatica conclusione del negozio giuridico posto in essere nel momento in cui si concretizza l'evento che integra la clausola risolutiva (nel caso, l'inadempimento relativo al mancato pagamento del canone dovuto), fatta valere dall'interessato. La prospettazione dell'Agenzia delle entrate sarebbe stata condivisibile qualora la mancanza di tale clausola nella disciplina del rapporto locativo avrebbe comportato la risoluzione contrattuale dopo l'accertamento giudiziale e con la convalida dello sfratto; in tale evenienza, infatti, si sarebbero dovuti dichiarare i canoni ancorché non effettivamente percepiti, fino al provvedimento giudiziario, perché comunque spettanti al locatario sulla base di un obbligo contrattuale ancora attuale, anche se compromesso. Nella diversa ipotesi, ricorrente nella fattispecie dedotta, invece, la circostanza dell'avvenuta successiva convalida dello sfratto dei due locali rafforza il diritto del locatore, a lui già spettante, di rientrare in possesso de beni locati a seguito del perfezionamento della clausola risolutiva espressa, ma non per questo fa prolungare il rapporto contrattuale già interrottosi con il mancato pagamento del canone […]».

In conclusione, l’appello dell’Agenzia fiscale è stato respinto e la C.T.R. del Lazio ha ritenuto giusto disporre la compensazione delle spese del giudizio.

Anche secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Brescia (sentenza n. 365/05/14), a fronte di una clausola risolutiva espressa del contratto, l'inadempimento del conduttore comporta lo scioglimento di diritto del rapporto ed «è fino a tale data che il contribuente dovrà dichiarare e quindi assoggettare a tassazione i redditi percepiti o no, non esistendo più successivamente alcun contratto di affitto valido». (In fattispecie in cui l’Agenzia delle Entrate ha rideterminato i redditi da fabbricato dichiarati dal contribuente per l’anno 2008, in relazione ad alcuni contratti di locazione risoltisi per morosità del conduttore).

Sull’argomento si veda altresì C.T.R. Veneto n. 98/02/18, secondo cui i canoni non percepiti per morosità costituiscono redditi tassabili fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto di locazione, un provvedimento di convalida di sfratto oppure sia effettuata la comunicazione dalla parte interessata all'altra che intende avvalersi della clausola risolutiva espressa, purché inserita in contratto. Antecedentemente a questi provvedimenti «rileva il momento formativo del reddito e non quello percettivo, atteso che non può trovare applicazione analogica quanto previsto, invece, per gli immobili locati ad uso abitativo dalla L. n. 431 del 1998, art.8, comma 5, trattandosi di norma eccezionale. Avuto riguardo alla clausola negoziale di risoluzione espressa del contratto, ex art. 1456 c.c., va rilevato che anche nell'ipotesi in cui una delle parti volesse avvalersene, come nel caso di specie, gli effetti della comunicazione all'altra parte non producono la risoluzione del contratto retroagendo alla data dell'inadempimento negoziale, bensì alla data di ricevimento della comunicazione di volersi avvalere della facoltà prevista dallo strumento negoziale».

Com’è noto, con la clausola risolutiva espressa le parti prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite e – come ha avuto modo di precisare la Cassazione - la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere (v., tra le altre, Cass. Civ. Sez. II n. 20854/2014 sulla differenza tra la condizione risolutiva - art. 1353 c.c. - e la clausola risolutiva espressa – art. 1456 c.c.).
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