9 ottobre 2018

Cartella TARSU. Chi non impugna perde il rimborso

Autore: Paola Mauro
Il contribuente non può chiedere il rimborso di quanto corrisposto a seguito della notifica della cartella di pagamento a fini TARSU, se questa poi non è stata tempestivamente impugnata. Dalla definitività della cartella deriva l'inammissibilità dell'istanza di rimborso.
È quanto ha avuto modo di precisare la Corte di Cassazione (Sez. 6-5) con l’Ordinanza n. 20367/2018.

Il giudizio nasce dal silenzio-rifiuto opposto dal Comune di Palermo su un’istanza di rimborso TARSU in ordine a tre annualità d’imposta.
La Società istante ha proposto ricorso dinanzi alla C.T.P. del capoluogo siciliano, che lo ha accolto, con sentenza confermata all’esito del giudizio d’appello instaurato dall’ente locale.

Ebbene, con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha ritenuto pienamente fondata l’impugnazione proposta dal Comune contro la sentenza di appello e ha deciso la causa nel merito, in senso sfavorevole alla parte privata.
  • Il ricorrente Comune ha rimproverato ai Giudici di merito di aver accolto l’impugnazione, avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso proposta dalla Società, senza considerare che le somme in relazione alle quali era stata proposta erano conseguenza di cartelle di pagamento emesse per le annualità in questione divenute definitive perché non opposte dalla contribuente nei termini.

La Suprema Corte ha rilevato che nella fattispecie in esame può trovare applicazione il principio di diritto (v. Cass. sez. 5, n. 672/2007) secondo cui «In tema di contenzioso tributario, la valorizzazione del silenzio-rifiuto dell'Amministrazione al fine di individuare un atto impugnabile da parte del contribuente si giustifica solo nei casi in cui il versamento o la ritenuta del tributo non siano stati preceduti da un atto di imposizione suscettibile di impugnazione diretta, e pertanto, quando la riscossione avviene per mezzo del ruolo, l'impugnazione del contribuente deve essere proposta tempestivamente contro il predetto atto impositivo, senza alcuna necessità di provocare il silenzio-rifiuto dell'Amministrazione». Ciò comporta che qualora - come nella specie - il contribuente non impugni l'atto con il quale l'amministrazione ha esplicitato la pretesa tributaria, «ma presenti istanza di rimborso, dopo aver pagato nei termini richiesti, dalla definitività per mancata impugnazione dell'atto impositivo deriva l'inammissibilità dell'istanza, perché contrastante con il titolo, ormai definitivo, che giustifica l'attività esattiva dell'amministrazione».

Il ricorso del Comune di Palermo, pertanto, è stato accolto, non avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione del principio di diritto sopra indicato. Conseguentemente, la Suprema Corte, decidendo nel merito, ha rigettato l'originario ricorso della Società contribuente, condannandola al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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