2 febbraio 2018

Cassazione: evoluzione del concetto di inerenza

Autore: Giovambattista Palumbo
Ai fini dell’inerenza non è indispensabile un legame tra il costo e l'attività d'impresa secondo un parametro d'utilità. Il concetto di spesa non è necessariamente legato all'elemento dell'utilità, essendo in teoria configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all'attività d'impresa.

Il fatto - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 450 dell’11/01/2018, ha specificato il concetto di inerenza ai fini della deducibilità dei costi.

Nel caso di specie la società aveva proposto ricorso avverso l'avviso d'accertamento relativo a costi ritenuti indeducibili per mancanza dell'inerenza, in ordine al pagamento di royalties per l'uso di un marchio, di proprietà della controllante.

In particolare, l'ufficio, rilevava che il costo in questione non costituiva una leva per produrre ricavi e proventi, e dunque lo recuperava a tassazione.

La CTR riteneva di escludere l'inerenza dei costi, in quanto non era stato a suo avviso dimostrato un nesso di strumentalità tra i costi stessi e l'attività svolta dalla società, rilevando, in particolare, che il fatturato di quest'ultima aveva riguardato, per la massima parte, commesse ricevute da società del medesimo gruppo e che, eventualmente, sarebbero stati deducibili i soli costi sostenuti per la minor percentuale dei ricavi che il contribuente potrebbe aver realizzato da economie esterne.

La società proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che il concetto d'inerenza delle spese fosse riferibile all'attività dell'impresa, e non ai ricavi, con riferimento alla produzione del reddito.

La ricorrente rilevava poi, in particolare, che l'elemento caratterizzante l'inerenza consiste in realtà nell'idoneità del costo sostenuto di fornire, anche se in via mediata ed indiretta, una qualche utilità all'attività d'impresa.

La decisione - Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.
La Cassazione ritiene di disattendere la definizione della nozione dell'inerenza, utilizzata anche da parte della giurisprudenza di legittimità, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, una utilità all'attività d'impresa.
Tale orientamento, secondo la Corte, pone, erroneamente, un necessario legame tra il costo e l'attività d'impresa secondo un parametro d'utilità, irrilevante invece ai fini di specie.

L'impiego del criterio utilitaristico, concludono i giudici di legittimità, non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all'elemento dell'utilità, essendo in teoria configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all'attività d'impresa.

Viceversa, l'inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio.
In questo quadro concettuale, secondo la Corte, l'evidenziazione di un comportamento antieconomico non può dunque giustificarsi identificando, tout court, la non inerenza con la sproporzione o l'incongruità dei costi, laddove, comunque, nel caso di specie, dall'esame degli atti emergeva che la CTR aveva concluso, correttamente, che il costo in esame non si correlasse con l'attività in concreto esercitata dalla società.

Tale attività si svolgeva infatti per il 92,5% del fatturato con società del gruppo e solo per il resto con soggetti esterni al gruppo, costituiti da enti pubblici (con procedure di gara pubblica). E in entrambi i casi il costo per l'uso del marchio, più che eccessivo, appariva del tutto estraneo alla suddetta attività.

Se è vero dunque che l’antieconomicità e la sproporzione o incongruità dei costi non possono automaticamente identificarsi con la non inerenza, tali elementi sono però comunque possibili indici, che, calati nella realtà aziendale, possono essere rivelatori della mancanza di inerenza.
Conclusioni - Parametri di valutazione utili (indici rilevatori) ai fini del controllo dell’inerenza saranno comunque la ragionevolezza e l’economicità dell’azione del contribuente.
Se la divaricazione tra costi e ricavi non costituisce infatti una condotta commerciale anomala “di per sé sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione […]” (come invece a suo tempo per esempio affermato da Cass., sentenza n. 24436/08), potrà comunque essere valutata come indice rilevatore della non inerenza, sempre che, appunto, sia assimilabile ad una presunzione grave, precisa e concordante, come potrà accadere laddove l’Amministrazione finanziaria provi che gli atti posti in essere dall’imprenditore sono da considerarsi rivelatori di scopi c.d. extraimprenditoriali con conseguente sottrazione al Fisco di materia imponibile senza alcuna valida motivazione.
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